Leggo che il vescovo di Savona ha comandato ai parroci della diocesi di abbassare il tono delle campane. Di metterle in sordina il più possibile. Per non arrecare disturbo…
La notizia mi lascia stranito… siamo nell’epoca, addirittura nella (in)civiltà del rumore. Del frastuono.
Il traffico. In alcune città assordante. E nelle odierne megalopoli, tipo Shangai, senza interruzione. Giorno e notte. La musica sparata a palla, come si usa dire. Le generazioni più giovani non conoscono altro. Parlano urlando. Sbraitano…. di fatto sordastri dalla nascita…..
E a dare fastidio sarebbe il suono delle campane? Ma mi faccia il piacere! direbbe il principe De Curtis. Le campane hanno un suono. Sono musica. Non rumore. Tant’è che esistono veri e propri concerti per campane. E quella del “campanari” è vera e propria arte. In Inghilterra, soprattutto, ma anche in alcuni borghi italiani, si tengono veri e propri Certami in cui gruppi di appassionati campanari gareggiano tra loro.
E poi il suono della campana è poesia. E ispira poesia. Lo ritroviamo in Pascoli, che è, tra tante altre cose, il cantore di una vita agreste che si è, ormai, perduta. Poeta della bucolica e delle Georgiche, erede di Virgilio. E lo ritroviamo persino in un futurista come Buzzi, non certo indulgente verso sentimentalismi arcaici.
Questo perché il suonare delle campane è bellezza. E, al tempo stesso, scandisce il ritmo della vita. Le ore, del giorno e della notte. Non rompe il silenzio notturno. Non disturba il riposo. Al contrario, trasmette un senso di sicurezza. Ti accompagna in ogni atto della tua esistenza. Sino alla morte. Ed è qualcosa, una voce, intorno al quale si unisce e identifica una comunità.
Chiedere il suono di una campana, è come chiedere la voce di Dio, dice il don Camillo di Guareschi. Ed è forse proprio per questo che oggi tale suono dà fastidio. Disturba. Perché interrompe il frastuono privo di armonia nel quale siamo immersi. E ci riporta ad un’altra dimensione. Interiore. Di raccoglimento e meditazione. Quello che vogliamo evitare come la peste. Guardare in faccia se stessi… non è mai facile. Preferiamo nascondere il nostro volto al nostro stesso sguardo Come Doryan Gray con il suo, diabolico, ritratto.
Uno dei più bei romanzi giapponesi, “Bellezza e tristezza ” di Kawabata, inizia con il protagonista (alter ego dell’autore) che torna, dopo molti anni, a Kyoto. Per ascoltare il suono delle campane in una notte di Capodanno. Sarà l’inizio di un viaggio interiore. Nella memoria e nel tormento di sentimenti e nodi d’amore mai risolti. Un viaggio nel labirinto della vita. Dove il suono delle campane è il filo di Arianna.
Ma ora un vescovo vuole zittire le campane. Perché disturbano.
Ci sarebbe molto da dire non solo su questo prelato, ma su cosa è rimasto, ormai, nella chiesa. Non dico di vita, ma almeno di sentimento religioso. Molto da dire… ma, sinceramente, tali polemiche non mi interessano.
Mi limiterò a ricordare un haiku del grande Bashô.
“La campana del tempio tace. / Ma il suono continua uscire dai fiori”.