“Stanno i giorni futuri inanzi a noi /come una fila di candele accese , /dorate, calde e vivide…”
Questi versi – forse i più famosi, ed abusati, di Kavafis – mi tornano in mente, mentre guardo le candele del centro tavolo dell’Avvento. Tre accese, e una spenta. Rosse, secondo tradizione.
Le Candele mi piacciono. Particolarmente in questo periodo dell’anno. Mi trasmettono una sensazione di calore… E, poi, la loro luce, per quanto fioca, fende le tenebre più di qualsiasi faro elettrico o neon. O , almeno, così mi sembra…
Forse dipende dal fatto che il primo Albero di Natale di cui serbo una, pur vaga, memoria, non aveva led e luci elettriche. Ma candeline. Tante candeline rosse sui rami. Che venivano accese la notte della Vigilia. Era un abete vero, naturalmente. Con quelli sintetici…beh, decisamente meglio evitare.
Comunque, l’albero con le candele era più bello… Era… Vivo. Perché quelle fiammelle, ardendo, evocavano la vita. Una vita superiore. Quella delle stelle. E se l’Albero rappresenta il Cosmo, le sfere di vetro i pianeti, le candele accese sono le fiammelle delle stelle lontane.
In fondo è una fantasia abbastanza semplice. Forse un po’ infantile. Le stelle non sono che candele accese in cielo dagli angeli…diceva la mia bisnonna. Che era, appunto, donna semplice. Di razza contadina. Quella che mi raccontava come, nella sua remota infanzia, per l’Epifania passavano i Magi. Uno ogni notte, dal 4 al 6 gennaio. E si mettevano per tre volte gli zoccoli – ché, allora, erano gli zoccoli le calzature comuni, andate a vedere il capolavoro di Ermanno Olmi – sulla finestra. E per tre volte li si ritrovava colmi di frutta secca e qualche dolciume…
E le stelle erano candele. In tanta semplicità più sapienza che nelle dotte (per modo di dire) disquisizioni di teologi alla moda e pretesi scienziati. Perché, dietro a questa immagine, vi è Platone. E poi Agostino. E, se vogliamo, anche Lutero…al quale dobbiamo, sembra, l’Albero di Natale. O, più esattamente, la sua traslazione da simbolo dell’Albero cosmico arcaico, a elemento del culto cristiano.
La luce delle Candele segna anche lo scorrere del tempo. Inesorabile. Come la fiamma che, ardendo, consuma la cera. La scioglie, formando una colata lavica. Una iridescenza di stille coagulate. E, infine, dissolve la forma nell’informe. La cera, sciolta, liquefatta, perde ogni durezza. Torna ad essere materia plasmabile. Il ciclo della generazione. Dal Cosmo al Caos. E, poi, verso una nuova forma. Un nuovo ordine. Sempre transitorio. Sempre fugace ed effimero.
Perché, come dice ancora Kavafis, i giorni passati sono “penosa riga di candele spente /… /fredde, disfatte e storte..”
Come lui non voglio voltarmi. Non ha senso, anche se, di quelle più recenti, sento ancora…l’odore.
Guardo le candele davanti a me. Accese. La luce che emanano è fioca. E la stanza buia. Mi viene in mente il professor Anselmo Paleari. La sua teoria del lanternino, che spiega a Mattia Pascal. Possiamo vedere ben poco. E in modo confuso. Illudendoci che quello sia la… realtà. Tutta. Unica e massiva.
Invece…
Però le Candele dell’Avvento, quelle di Natale non emanano solo una vaga luce
Trasmettono una sensazione di…calore. Che ti entra dentro. E fuga il senso di gelo che ci stringe in questi giorni.