Lessi il Candide di Voltaire moltissimi anni fa. Avrò avuto, sì e no, sedici anni. Stagione di letture impetuose e caotiche. Come mi fosse capitato fra le mani, non ricordo. Forse era nella biblioteca di casa. O lo comprai su una di quelle bancarelle tra le quali ero uso aggirarmi, quasi famelico. .. Erano anni così…
Comunque, un volumetto smilzo. In finta pelle blu cielo, e scritte in oro. Che conteneva tre romanzi filosofici di Voltaire. Zadig e La principessa di Babilonia. Oltre a Candido. Degli altri due mi è restato ben poco. Ma il Candido è ancora limpido nella memoria. Più che per la trama, esile, quasi inconsistente, per i personaggi. Il dottor Panglosse, sublime idiota, che teorizza come questo sia, comunque, il migliore dei mondi possibili. E si becca la sifilide per i suoi trastulli campestri con le servette. Quella vecchia carogna di Voltaire vi aveva voluto adombrare Leibnitz…
La bella Cunegonda, oggetto di desideri e rapimenti. Priva, praticamente, di volontà propria. I cannibali, il filosofo manicheo, campionari di varia umanità. Il grande circo, gli zoo del mondo. E Candido che vi si aggira stralunato, manco fosse il Charlot di Chaplin. E vede e osserva e vive ogni esperienza con il candore di chi non ha malizia né pregiudizio alcuno. Le cose come stanno. E gli uomini come sono. Ben diversi da come ci raccontano. E, soprattutto, da come si raccontano a se stessi.
Ha fatto scuola quel romanzetto. E molta. Sciascia, il cui scetticismo poteva dare parecchi punti a quello di Voltaire – anche perché venato di una sorta di pigro fatalismo arabo – trasferì Candido nella sua Sicilia. Dandogli finalmente, un cognome. Munafò. E ha fatto muovere questo ingenuo testimone del tempo nella Sicilia della corruzione politica, della confusione, o meglio dell’inestricabile intreccio fra Stato e mafia… dove il degrado politico, la decadenza dei costumi morali, la perdita, anzi la disgregazione di ogni senso di comunità autentica, diventa, a ben vedere, il male peggiore. Peggiore della malavita organizzata. Che, semmai, diventa solo un paravento. Una cortina fumogena, per mascherare ben altro. Il professionismo dell’antimafia. Che Sciascia, grande scrittore e galantuomo, denunciò. Subendo un autentico linciaggio morale. Mentre altri lo hanno cavalcato. Con carriere brillanti. Molto brillanti… Troppo.
Mi domando cosa scriverebbe Sciascia oggi. Forse farebbe muovere il suo Candido nelle vie di questa Italia, tra gli zombie mascherinati, che ascoltano i bollettini dei decessi quotidiani, imparano a lavarsi le mani da Barbara D’Urso… E vivono nella convinzione che il Governo li abbia depauperati di ogni libertà, e persino di ogni residuo di dignità umana, per il loro bene. E che se saranno bravi, obbedienti, potranno non morire mai… Candido farebbe le sue ingenue domande. E…probabilmente diverrebbe un emarginato. Un pericoloso sovversivo. O come si dice oggi, un negazionista. Braccato in casa da generali zelanti. Isolato da parenti e amici. Escluso da locali ed ogni forma di vita sociale… Bah, purtroppo oggi non c’è più uno Sciascia. Gli intellettuali, i maestri di pensiero (sic!) sono Saviano e simili. Segno, anche questo, dei tempi.
Candido, però, ha numerosa famiglia letteraria. Ed ha anche delle sorelle.
George Bernard Shaw. “Candida”. Sottile indagine della psiche femminile. E delle complicate, e contraddittorie, pulsioni che siamo usi chiamare amore.
E poi la folle, surreale, “Minnie la Candida”.. Di Massimo Bontempelli. Uno dei più felici testi teatrali del dopo Pirandello. Del quale Bontempelli fu uno dei pochi, autentici, eredi.
Minnie è candida perché crede. Crede a tutto ciò che le dice il suo fidanzato. Che ama. Ma lui, un giorno le fa uno scherzo surreale. Insieme ad un amico le fa credere che gli esseri umani, in molti casi, non siano tali. Sono delle specie di automi. Un assurdo. Ma Minni ci crede. E per quanto lui, poi, cerchi di convincerla che solo di una burla si trattava, lei precipita in un incubo. Comincia ad accorgersi che nei comportamenti umani vi è molto poco di autentico. Che i sentimenti, per lei veri e forti , sono solo simulazioni. Gli automi. La parvenza di uomini. E teme di divenire come loro. Un automa che finge, e si illude di essere umano. Si uccide gettandosi dalla finestra.
Sospesa fra teatro dell’assurdo futurista, la lectio pirandelliana e l’espressionismo, la commedia che volge improvvisa in dramma, sembra quasi adombrare la condizione umana attuale. Certo, Bontempelli la scrisse negli anni ’20…ma l’ incubo di Minnie mai è stato, come oggi, reale. Quasi una profezia della nostra quotidianità. E, preciso, non sto parlando solo della situazione indotta dalla, cosiddetta, pandemia. Questa ha solo reso palese ciò che già preeesisteva. Ha fatto sì che gli automi si rivelassero. Gettassero, per paradosso, la maschera di uomini.