Viviamo una strana epoca. Incentrata sul culto del… stavo per dire corpo. Ma mi sono fermato. È parola che mi appare inesatta. Da un lato insufficiente. Dall’altro troppo elevata. Calzerebbe meglio, forse, materialità. Ma è un’astrazione. Carne… Non so trovare il termine esatto. L’italiano è lingua ricca, ma non ha le sfumature del greco antico. Sarkòs, non è, di fatto, traducibile… potremmo dire la massa corporea, ma rende a stento l’idea. È qualcosa di informe, mera sussistenza biologica. Se volete avvicinarvi al suo senso, pensate ad una parola nostra che ne deriva. Sarcofago. Ciò che ingoia la carne. La divora. E non serve aggiungere altro…
Comunque, l’ossessione per tale corpo connota la nostra epoca. E l’abisso di decadenza in cui siamo precipitati. La Grande Paura del Covid ne è solo la propaggine estrema, almeno per ora. L’abiezione estetica, rappresentata dalle, spesso lorde e disgustose, mascherine ne è l’apparenza più evidente. Il grado zero, forse, di un culto della corporeità depauperato di qualsiasi senso della bellezza del corpo. E che si traduce in un cieco, per molti versi assurdo terrore. Di perdere questa massa corporea amorfa, capace solo di nutrirsi e crescere in volume. Di morire, in parole povere.
Il corpo è altro. Non solo carne. Non solo materia caduca, destinata, prima o poi, a far da cibo ai vermi. Tema, per altro, caro ai poeti barocchi, sempre sospesi fra la contemplazione del cadavere ed una sensualità fiammeggiante.
Il corpo è, innanzi tutto, forma. Quindi armonia, proporzione. Bellezza. E come tale non è espressione della materia, bensì di forze che questa plasmano. Per dirla in modo semplice, la bellezza e la perfezione di un corpo non è determinata dalla palestra, dalla frequentazioni assidue di Spa, dalle abili mani di massaggiatrici e massaggiatori. Queste, al massimo, aiutano. Consolidano ciò che già il corpo è in sé. Non plasmano. E, quando ancora quella del massaggio era un’arte, lo si sapeva. E chi la praticava cercava non di forzare la natura manipolandola arbitrariamente, bensì di assecondarla. Seguendo, e intuendo, nel corpo le linee di quelle forze che ne definiscono la bellezza ideale. Sempre mascherata, anzi oscurata e deformata dalla materia volgare. Ovvero dall’esistente.
Prendiamo Canova. La sua opera più famosa. Al tempo stesso bellissima e seducente. Il ritratto di Paolina Borghese. Incarnazione di una bellezza assoluta. Irraggiungibile. Tant’è vero che l’artista propose alla sorella di Napoleone di rappresentarla come Diana nuda. Ma lei rifiutò, ridendo. “Nessuno crederebbe che sono vergine” avrebbe detto, secondo quello che è, ormai, leggenda.
E allora, fu Venere. Venere Vincitrice. E lei posò nuda. Sola. Davanti al Canova..
“Non è un problema” avrebbe detto ancora la Paolina “Canova non è un vero maschio…”
Che ci volete fare… Aveva, notoriamente, il cervello di una pavonessa. Ma lui, il Maestro di Possagno, la ha resa immortale. Non lei, ma la perfezione della bellezza che seppe cogliere nelle linee del suo corpo quasi completamente nudo.
La bellezza di Venere. La Dea dell’eros. Vincitrice. Ovvero colei che vince ogni resistenza. Che è in grado di sedurre ogni uomo.
Ma anche la bellezza di Diana. L’irraggiungibile. Colei la cui perfetta nudità non può essere contemplata. Se non da coloro che, come Atteone, siano disposti a pagare con la vita. A farsi sbranare dai neri cani della passione che non può trovare, mai, appagamento.
Canova forse non sarà stato un “vero maschio”. Ma riuscì a cogliere l’essenza, duplice, del femminile.
Riuscì ad esprimere una bellezza perfetta, che va molto al di là della carne. Che è ciò che si rivela di ben altre forze. Immateriali e capaci di plasmare la materia grezza.
Certo, si parla di archetipi. E di misteri. Tuttavia quando restiamo incantati di fronte alla bellezza di una Donna, e questa si rivela a noi come perfezione assoluta, sfioriamo, senza saperlo, tali misteri.
Per un attimo Venere si rivela ai nostri occhi abbacinati.
E Diana ci mostra la perfezione che non ci darà più pace.