Zòltan Kodàly disse “Laddove senti cantare, fermati. Gli uomini malvagi non conoscono canzoni”. Me lo ricorda Daniele, grande amico. E il pensiero ritorna ad una serata di qualche tempo fa. Non molto. Era una sera d’estate, luglio inoltrato. Ma non sembrava tale, lassù, in Val dei Mocheni. Sembrava, piuttosto, autunno. Faceva freddo, decisamente. E una fitta nebbia avvolgeva la vallata. Una nebbia che aveva qualcosa di incantato. Magico. E lì capivi perché Musil, che vi soggiornò per quasi un anno, a Palù, la chiama la valle Stregata..
Ogni volta che vi torno, chissà perché il mio pensiero va allo scrittore austriaco. Che lì fu, durante la Grande Guerra, tra il Forte delle Benne e quello di Tenna. Sui laghi di Levico e Caldonazzo, prima di venire ferito in Valsugana. E finire a Praga. Ove conobbe un giovane Kafka. Alla Val dei Mocheni, ai suoi paesaggi, alla suggestione di quelle genti e della loro parlata – un dialetto tedesco del ‘400 – dedicò uni dei suoi migliori racconti, “Grigia”.
Forse, sarà perché mi ritrovo nelle sue stesse emozioni. Da uomo senza qualità, per lo meno per vivere in questo mondo. E fantasticare di una via d’uscita. Di una “porta”, che forse è proprio quella Valle fuori dal tempo.
Eravamo lì, comunque. Piu o meno i soliti amici. Dal Burbiz. Certo qualche volta si va all’Aquila Nera, sull’altro versante. O alla Malga Van Spitz, più in quota. Ma il Burbiz è un amico. Ed è come a casa. Talvolta, dopo aver cucinato, si siede a mangiare con noi. E alla fine tira fuori una grappa che distilla lui in Casa. Dai mughi o da altre piante del luogo.
Comunque quella sera, come dicevo, eravamo lì. E ci aveva preparato i kropfen. La sua specialità. Ravioloni ripieni di vari formaggi, 14 dice lui, verze, e affogati nel burro fuso. Poi, tanto per star leggeri, goulash e spezzatino di cervo. Con la polenta taragna, cotta nel pajolo di rame. Alla faccia delle regole Ue. E per digerire, la treccia Mochena, con la crema. Che te la raccomando per glicemia, colesterolo, trigliceridi… Però, accidenti, stavamo bene. Anche perché il Marzemino prima, la grappa poi, erano andati giù abbondanti. E avevano scaldato corpi ed anime.
E allora qualcuno cominciò a cantare. Piano. Con voce da basso. Come sussurrando. E un poco alla volta si unirono tutti gli altri. Che canzone fosse, non ricordo. E non ha davvero importanza. Ciò che conta è che stavamo bene. Ci sentivamo sospesi fuori dal tempo e dalla stagione. In una dimensione diversa. Tutti i pensieri, le preoccupazioni erano lontani. In quella Valle non avevano avuto accesso.
E allora…
E allora niente. Tutto qui. Un ricordo. Anzi solo un frammento di ricordo. Evocato da quella frase di Zòltan. Che era un grande musicista, anche se non ha avuto la fortuna che meritava. Ascoltate le Danze di Galanta, e poi mi direte. Ma che si dedicò, poi, soprattutto ad insegnare la musica. La musica popolare. Il canto. Perché la gente malvagia non conosce davvero canzoni.
Per cui, se senti cantare, fermati.