Questo è il Cantico di Natale. Ma non quello di Dickens. Quello che tutti conoscono, più che per averlo letto, per le sue innumerevoli declinazioni cinematografiche e televisive. Comprendendo anche cartoni animati. E fumetti. Tant’è vero che il disneyano Paperone venne inventato da Carlo Barks per il ‘Natale di Paperino a Monte Orso’. Dove, per la prima volta, compare l’ineffabile Zio Paperone. Uncle Scrooge, appunto…
Ora, la, felice, narrazione vittoriana ci presenta, come è ben noto, tre fantasmi. Molto diversi fra loro. Una sorta di fata rilucente. Il Fantasma dei Natali passati. Un Gigante, allegro. Il Fantasma del Natale presente. E… La Morte. Senza volto e con tanto di falce. Il Fantasma dei Natali futuri.
Dunque ce la vuoi raccontare di nuovo.. E dopo aver detto l’opposto che… Uff.. penserà a questo punto un ipotetico, forse improbabile, lettore… No, tranquillo. Mi limitavo a ricapitolare. A far memoria per spiegarmi meglio.
Dunque. I fantasmi sono tre. In Dickens. Ma sono tre anche in ben altra storia… quella che sto, appunto, accingendomi a raccontare.
Ed è una storia, o se preferite una fiaba che comincia accanto ad un pozzo. Un pozzo bianco, ma così bianco da essere luminoso. Lucente.
Il pozzo, come ben sanno tutti gli appassionati dell’antica arte del Presepe, è un elemento non secondario della sacra rappresentazione natalizia. E, per altro, un elemento inquietante. Perché evoca l’immagine di profondità. Di abissi, oscuri e insondabili. Tant’è che, sovente, sopra il pozzo s’intravvede la figura del Diavolo. Che, in molte narrazioni popolari, proprio con i pozzi ha a che fare…

Ma questo è pozzo luminoso. Emana luce. E, quindi, è ben altra storia.
Raccoglie le acque, limpide e cristalline, di una fonte. E quelle acque servono a dissetare le radici di un albero. Un grande albero. Anzi, un albero immenso. Un frassino che si erge nel vuoto. E lo riempie, con i suoi innumerevoli rami…
E riddaje con sto albero… È proprio na fissa Prof. ” direbbe uno dei miei Bori… Direbbe, se fosse e fossimo normalmente in classe. E non in questa parodia di didattica a distanza, che piace solo ai nullafacenti. E serve ad appagare la libido burocratica di pseudo – dirigenti e organizzatori. Che hanno ucciso la scuola. E spento anche l’istinto di vita ( e di sacrosanta ribellione) dei ragazzi più vivi. Più ruspanti…

Comunque, sì, sempre l’albero. Non sono io che me lo invento per insana passione botanica… È in tutti i miti. In tutte le Tradizioni. E rappresenta l’ordine cosmico. Comunque, le radici dell’albero vengono dissetate dalle acque del pozzo. Di questa fonte meravigliosa. E ad occuparsene sono tre figure. Figure femminili. In certo qual modo, però, fantasmatiche. Le quali, quando non aspergono acqua, trascorrono il tempo _ che poi è tempo eterno, immutabile per loro – accanto al pozzo. Intente a filare o a incidere strani segni su tavolette lignee…
Il pozzo ha nome Urðabrunnr Ed è il pozzo del destino. Le tre Donne hanno nome Urðr, Verðanði, Skuld. Le Nornir. Le Norne di Wagner. Che tessono il destino degli uomini sui loro fusi. Come le Moire greche e le Parche romane.
Urðr è la più vecchia, e rappresenta il passato. I ricordi degli anni trascorsi. La nostalgia. La malinconia.
Verðanði è il presente. Sempre sfuggente. Bella e inafferrabile. Skuld, una giovinetta, il futuro. Porta con sé i rimpianti e i rimorsi….
Sono legate alle Walkirie. Forse esse stesse, in origine, Walkirie. E pertanto deputate ad avere a che fare con i morti. E con il destino degli uomini.
Se vogliamo, rappresentano l’archetipo dei tre fantasmi del racconto di Dickens. Fantasmi esse stesse, che vengono con la bruma, nelle notti del Solstizio, a visitare gli uomini. E li mettono di fronte alla vita trascorsa. Al presente che si è, oggi più che mai, incapaci di vivere. Ed al futuro. Con le sue paure nutrite dalla coscienza degli errori. E delle occasioni perdute.
Ci parlano con le loro complesse tele. E con le rune che incidono sulla corteccia del frassino…
A me capita, ogni anno di più, di vederle. O meglio, di intuire la loro presenza. Di sentirle, in notti come questa, quando l’unica luce, intermittente, viene dall’albero di Natale, che mio figlio ha addobbato. Urðr mi guarda con dolcezza. Verðanði ride e fugge via, come l’acqua di un torrente alpestre… Ma è la terza, Skuld, che mi fa paura. Cerco di non guardare i suoi occhi. Ha lo stesso sguardo dei miei allievi, che mi giunge attraverso il video. Lo stesso di mio figlio… Uno sguardo che chiede “Perché?” e al quale non so, o non oso, rispondere…
Questo, come dicevo, è il Cantico di Natale. Ma non lo ha scritto Dickens. È molto più antico. E non è detto che vi sia un lieto fine…