Quello delle Christmas Carroll è un uso tipicamente inglese. Che, nel nostro immaginario, si lega inevitabilmente ad atmosfere vittoriane. Immagini di villaggi di campagna formati da cottage innevati. Di laghetti ghiacciati con bambini che pattinano ridendo felici. Di abeti riccamente addobbati. Di cantori abbigliati secondo le mode del tempo che intonano cori agli angoli delle vie, leggendo lo spartito mentre uno di loro regge la lanterna…
Quadretto oleografico che è divenuto una sorta di moderna icona del Natale. Tanto che questi “villaggi d’inverno”, in vari materiali, dalla ceramica alla fibra di vetro, e spesso montati con meccanismi e carillon, sono divenuti una sorta di alternativa laica al tradizionale Presepe. Un addobbo festoso, che ispira buoni e caritatevoli sentimenti (un po’antiquati) senza, tuttavia, alcuna implicazione religiosa. Perfetto, anche sotto il profilo del vigente politically correct. Anche se, ad esser pignoli, io pupazzetti di afroamericani che pattinano o di cinesi che cantano Carole, non ne ho mai visti . E quindi…
Però, ad esser sempre sincero, a me quelle atmosfere piacciono. Ispirano una sorta di calore interno. Tirano fuori quel lato sentimentale, e un po ‘ melenso, che ordinariamente cerco di celare sotto una patina ruvida e cinica. A me stesso, prima che agli altri. Ma che, tuttavia, sussiste. E a Natale viene, irrimediabilmente, alla luce e prende il sopravvento. Niente da fare… non sarei proprio tagliato ad essere un filantropo che anela a ridurre drasticamente il numero dei viventi. E che, chissà perché, si occupa di produrre vaccini… Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia…
Comunque, di questi miei periodici attacchi di sentimentalismo natalizio e vittoriano, la colpa principale la devo dare a lui. Al grande scrittore vittoriano per eccellenza. Charles Dickens, ovviamente. Che grande era grande, certo. Un narratore fluviale, capace di costruzioni ed intrecci straordinari. Ma che mai, ad onor del vero, ho davvero pienamente apprezzato, se si eccettuano I “Pickwick Papers”. Che però ho letto solo dopo aver visto il memorabile sceneggiato televisivo, con un indimenticabile Gianrico Tedeschi…
La vera eccezione, però, è rappresentata per me dai racconti, o, più esattamente, dai romanzi brevi di Natale. Quelli che Dickens scriveva come sorta di strenne, da pubblicare in volume e, più o meno contemporaneamente, a puntate sui giornali. Perché il nostro era un professionista. E di quello campava, dopo tutto.
I suoi romanzi natalizi sono, di fatto, delle Carroll. Ovvero delle Cantate, come quelle che, nell’età della Regina Vittoria usavano. E che erano, per altro, una tradizione con radici molto antiche, sprofondate nel Medioevo dei grandi monasteri britannici. Quello che videro nei cori figure come Alcuino di Canterbury e il Venerabile Beda… E forse ancora più indietro. Nelle nebbioso foreste della Britannia. Ove le querce risuonavano delle litanie magiche dei Druidi che vegliavano, in attesa del Solstizio…
E Christmas Carroll è non solo il racconto più famoso di Dickens, ma la più celebre favola di Natale di tutti i tempi. Declinata in ogni modo dal teatro, dal cinema, dai fumetti, dai cartoni animati…
Storia di buoni sentimenti. A lieto fine. E, però, storia di fantasmi. La storia di Scrooge ne è l’esempio più famoso. Enfatizzato da decine di declinazioni cinematografiche, televisive. Da cartoni e fumetti, appunto…. Topolino e Paperino e innumerevoli altri…
Ma vi sono anche altre storie di Natale Dickensiane. E pure queste presentano delle presenze…. che definire inquietanti sarebbe riduttivo. In particolare “Il patto con il fantasma” tutto intessuto intorno al tema del cancellare ogni memoria del proprio passato, proprio durante la, magica, Notte di Natale. In una Londra cupa, di vicoli oscuri e neve…

Perché i fantasmi sono strettamente legati ai giorni di Natale. Come lo erano ai Saturnalia romani, quando si credeva che i defunti tornassero fra i viventi.
In fondo, è il tema del ricordo. Delle memorie che tornano come onde di marea, più forti in questo periodo. E soprattutto in queste notti. Presenze che proprio l’atmosfera festosa contribuisce ad evocare. A rendere più pervasive e struggenti.
Il ricordo di Natali ormai lontani. Del lungo lavoro per predisporre il presepio, addobbare l’albero, decorare tutta la casa. Un abito festivo e luminoso, che serviva a sottolineare il momento straordinario. Il Tempo della Festa.
E poi Cenone e Pranzo. Tutti riuniti, tre, quattro generazioni intorno alla tavola imbandita, e con il “servizio buono”, come si usava dire. Quello che si tirava fuori per rare ricorrenze.
E l’allegria, le risate, qualche canzone natalizia… Poi il sopore satollo che ti coglieva sul finire dell’interminabile giorno. E l’inevitabile sapore di malinconia. Perché la Festa era fuggita. E si tornava al tempo ordinario.
I fantasmi di Dickens, appunto. Per lo meno uno. Quello, dolcemente nostalgico, del Natale Passato… Gli altri due, il Presente e il Futuro… beh, meglio dimenticarli. E lasciarli nelle loro tristi dimore…