Non c’è una sola buona ragione che possa giustificare il fallimento della proposta di Elisabetta Casellati al Quirinale. Dopo l’estenuante vicenda dell’autocandidatura di Silvio Berlusconi, preventiva all’inizio del voto, questa appariva da subito l’ipotesi più sensata. Il Cavaliere avrebbe aggiunto al beau geste della rinuncia a farsi votare dai suoi fedelissimi, evitando così una sonora figuraccia pubblica, quello di proporre una figura alla quale sarebbe stato molto difficile dire di no.
Elisabetta Casellati è una donna, e il segnale di portare per la prima volta una donna al Quirinale avrebbe conferito al centrodestra un merito innovativo indiscutibile, che sarebbe rimasto negli annali della storia italiana. Casellati ricopre poi il ruolo di seconda carica dello Stato, senza particolari critiche o polemiche; dunque, promuoverla alla prima sarebbe stato un passaggio difficilmente discutibile da parte delle altre forze politiche. Berlusconi si sarebbe comunque assicurato una propria fedelissima al Colle, mentre il centro-sinistra si sarebbe trovata libera una poltrona di enorme importanza sulla quale mettere le mani, la Presidenza del Senato.
Insomma, davvero una quadra che avrebbe messo d’accordo tutti. Tant’è che a livello privato, ma ho testimoni che possono confermarlo, avevo formulato quest’ipotesi come la più probabile già da tempi non sospetti, con le motivazioni sopra riassunte e che ho successivamente trovato in un commento della sempre acuta Natalia Aspesi.
Le cose non sono andate così, prima e all’inizio del voto, ed è davvero un peccato. Evidentemente alla classe politica italiana non interessa fare buona figura nei confronti dei cittadini, e questo lo davamo per scontato, e neppure davanti ai mercati, dei quali pare che tanto si preoccupino. I cosiddetti grandi elettori hanno preferito condurre questa confusionaria rissa, seguita in tempo reale, con un’infodemia assordante, da gran parte dei mass media “mainstream”.
Dopo qualche “chiama” di caos, però, il centrodestra avrebbe potuto comunque capitalizzare la bella figura della candidatura Casellati, votandola in blocco e cercando di fare campagna acquisti tra Gruppo Misto, renziani e 5 Stelle o PD più indipendenti. Sappiamo invece com’è andata: sono mancati addirittura una settantina di voti tra Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega. Poco importa a questo punto capire chi siano i latitanti indisciplinati, poiché le sorti del facsimile di alleanza che faticosamente procedeva da quando è in carica il Governo Draghi appaiono ormai segnate.
Nessun rimpianto, per carità, di partiti e di leader come questi non sentiremo certo la mancanza. Il problema è che si lasceranno spazi aperti a un centro-sinistra e a un Movimento 5 Stelle la cui qualità è, purtroppo, altrettanto pessima. Probabilmente è proprio questa considerazione che induce i leader del centrodestra a non preoccuparsi troppo delle proprie gaffe: la consapevolezza che anche gli avversari non sono a un livello di strategia e lungimiranza politica maggiore. Uno scontro tra Titani(c), una gara al “meno peggio”, un raschiare continuamente il fondo del barile della credibilità. E neppure gli uomini della Provvidenza che periodicamente si alternano al soglio di Palazzo Chigi, da Monti a Mario Draghi, costituiscono un pericolo per la casta partitico-parlamentare, come abbiamo confermato in questi giorni, tanta è la loro incapacità di capitalizzare il consenso italiano e del mercato globale.