“Madamına il catalogo è questo, delle donne che amò il Padron mio…”
Mi frulla nella mente questa aria di Mozart. Il Catalogo delle Donne amate da don Giovanni, cantato da Leporello, con voce da basso. O, meglio ancora, baritono – basso…
I versi del Da Ponte volteggiano leggeri nell’aria di Maggio…
” Ma in Spagna… In Spagna son già mille e tre…”
“Scusi prof.” già , sono in classe. Anche se i profumi e la luce che viene dalla finestra mi ha portato altrove con la mente.. Anche i vecchi professori sentono la primavera…
“Scusi prof…” è la bruna di Terza, quella con lo sguardo malizioso “ma questo catalogo, quello che Dante dice di aver scritto sulle Donne di Firenze, cosa dice?”
Non lo sappiamo esattamente. Perché è uno scritto che non ci è pervenuto. E Dante stesso lo tratta con un po’ di sufficienza. Dice soltanto, nella Vita Nova, di averlo composto per poter parlare di Beatrice senza che nessuno se ne accorgesse. E per parlare anche di una delle Donne dello Schermo…
“Anche di quella? E Beatrice non si è arrabbiata?”
“Aho, e perché doveva incaxxarse la Beatrice? Nun c’è stava mica con Dante… Siete proprio strane voi femmine…” il coatto di turno appare stupito. E fa il duro. Ma, al contempo, si sta mangiando la bruna con gli occhi. E lei, palesemente, ne è cosciente. E sorride, con superiorità…
Non sappiamo le reazioni di Beatrice. E neppure se lo avesse letto. Solo che era il Catalogo delle sessanta Donne più belle di Firenze. Secondo il parere del Poeta. E forse anche dei suoi amici…gli Stilnovisti, Cavalcanti, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, Gianni Alfani…
“Ah, perché Dante e gli altri, quando si trovavano, parlavano di donne?”
“E de che voi che parlassero, mica erano (espressione censurata per non incorrere nei rigori del DLZ). Come noi erano, anche noi se famo i Cataloghi, che te credi…” il Boro, al solito. Però, gergo a parte, tutti i torti non li ha…
È vero. Gli uomini, quando si ritrovano da soli, o parlano di calcio o parlano di donne… E allora il calcio non c’era… Non come lo intendiamo noi almeno…(qualche risatina, filtrata dalle mascherine). Comunque non credo, sinceramente, che il livello dei loro discorsi fosse simile al vostro (risate che si fanno più intense. Il Boro, ovviamente smascherato e impunito, ridacchia con fare ammiccante). Per altro il Catalogo delle Donne non è un”invenzione” di Dante e della sua epoca. È cosa ben più antica. Il primo lo avrebbe scritto addirittura Esiodo. Che, escluso Omero, è il primo poeta greco.
“Ma che diceva delle Donne sto Esiodo?”
Beh, quelle di Esiodo erano figure femminili del mito. Eroine, ninfe, Dee. In realtà raccontava storie, leggende, tradizioni. Però crea un modello. Quello del Catalogo delle Donne, appunto che, poi, soprattutto a partire dal Medioevo, viene declinato in vario modo. E diventa un modo per attribuire alle donne pregi, virtù… Morali, certo, ma anche fisici…
“Famme capì, prof…. Questi stavano pure a scrive’ che quella c’ha belle chiappe e quell’altra è coscia lunga? E in versi?” manco a dirlo… il Boro.
“Ma siete proprio delle bestie… di questo, allora, parlate dietro le nostre spalle…” La glaucopide, bionda e pallida. Gli occhi sprizzano indignazione.
” E de’ che voi che parlamo? Dietro le spalle, poi… ” e a questo punto i coatti partono con la ola… Lo fermo. Con un urlaccio di quelli cattivi. Senza mascherina. Anch’io, come loro.
Poi…
Vedete, si può descrivere, in un catalogo, la bellezza delle Donne senza cadere in volgarità. Certo, con ogni probabilità il Serventese dantesco conteneva soprattutto attributi morali. Accenni allo sguardo, all’oro dei capelli. Alla pelle diafana… Ma in questo genere di poesia – perché di poesia vera si tratta, statene certi – non erano esclusi riferimenti ad altre parti del corpo… diciamo così meno… eteree. Ma quello che conta è il modo in cui si dicono le cose.
“A prof. Mo se appena je fai un complimento ad una tipa, poco poco che questa nun te denuncia per Cat.. Caz.. Tello… Quella roba là, insomma, se semo intesi, vero?” il Boro appare amareggiato sul serio. Probabilmente parla per esperienza..
Sai, dipende da come si fanno i complimenti. Dalle parole che si usano. Perché una cosa è se tu dici a una ragazza: ‘Mazzate che tette…
E qui mi devo fermare. Perché sta venendo giù la classe. Sembra un baccanale… Ma, in fondo, me lo sono voluto… Poi, finalmente…
Altra se dici: I tuoi seni sono due agili gazzelle che fuggono nel deserto. O se parlando del suo collo: è come la colonna d’alabastro del Tempio. O delle gambe: sono giunchi flessuosi nel vento…
“Ammazzete, ma chi è questo? Casanova?” il Boro.
“Scemo – la glaucopide – è uno che sa come vanno trattate le Donne..”
Sorrido. Veramente, ragazzi, questa è, più o meno, la Bibbia. Il Cantico di Salomone…
Si fa silenzio. Intanto è suonata la campanella. Mi accingo a infilare questa maledetta mascherina. E ad uscire. Ma..
” Ma lei prof. – la bruna dagli occhi maliziosi – ha mai fatto cataloghi come questi?” sorrido.
Certo. Come tutti, da giovane.
“E ora? Ne fa ancora?”
Non mi resta che uscire. In fretta.