C’era una volta… un Re. Tranquilli, non è un inizio alla Pinocchio, riveduto e corretto. E neppure una sorta di fiaba… per lo meno non di una fiaba a lieto fine…
Dunque, dicevamo… c’era una volta un Re. Che fu re, però, solo per breve, brevissimo tempo. Un mese, più o meno. Il mese di Maggio.
Che è un bel mese, quello in cui fioriscono le rose… cantato da poeti e trovatori, e dagli stornelli popolari.
Però, per lui, per questo Re, non fu un bel mese. Visse la caduta della monarchia. Tradito e, parliamoci chiaro, imbrogliato proprio da coloro di cui avrebbe avuto diritto di fidarsi. E avrebbe potuto reagire. Alzare la voce, denunciare quanto stava accadendo, fare appello al suo popolo… che, in molte zone del paese, era con lui. Il popolo, non le classi medio alte. Quelle volevano la Repubblica. E, poi, c’era l’esercito. Gli ufficiali, in maggioranza, erano legati all’onore. E gli avevano giurato fedeltà.

Insomma, avrebbe potuto puntare i piedi. Difendere il suo diritto e le sue prerogative. Ma il paese, che già stentava ad uscire da una guerra perduta malamente, e da una guerra civile ancora non terminata, sarebbe precipitato nel caos. E sarebbe scorso altro sangue. E poi c’erano i vincitori, gli stranieri che occupavano la sua, nostra, terra… bisognava fare i conti anche con loro…
Così, lui, il Re, preferì andarsene senza tanti clamori. In punta di piedi. Vestito come un distinto signore, senza parate e corona.
Andò in esilio. In Portogallo. Terra cara alla sua memoria familiare e dinastica. Vi era infatti morto, anche lui esule, il suo trisnonno. L’unico della casata cui assomigliava. Fisicamente e moralmente. Il trisavolo, Carlo Alberto, era stato definito dal Carducci “Italo Amleto”. E qualcosa di amletico, di tormentato indubbiamente vi era anche in lui.
Pagò, certo, molti errori. Non suoi… ma le colpe dei padri, spesso, ricadono sui figli. E questo è tanto più vero per le dinastie reali.
In sostanza gli fecero scontare i debiti accumulati. Senza tenere alcun conto dei crediti. Che pure c’erano, e notevoli. Perché se quel Paese era diventato unitario, se non era rimasto una mera espressione geografica, lo si doveva alla sua famiglia. Certo c’era stato il grande generale, l’Eroe dei due Mondi. E il grande teorico della Patria unita. E il grande Politico, il Tessitore. E tanti altri… ma se la sua casata non fosse scesa in campo, rischiando tutto, difficilmente si sarebbe realizzata l’Unità.
Molti, oggi, pensano che, forse, sarebbe stato meglio… ma l’epoca richiedeva che un paese, per contare qualcosa, e per svilupparsi economicamente e socialmente, fosse unito. Non frammentato in tanti staterelli. Che lasciano un ricordo simpatico nella memoria… ma che erano entità irrilevanti. Principati, per lo più da operetta.

Comunque, al nostro Re, i meriti non vennero riconosciuti. E addossate, invece, tutte le colpe.
Evitò, ritirandosi con dignità, altra guerra e altro sangue. La Repubblica, ovvero gli uomini che lo avevano tradito, comminò l’esilio perpetuo a lui e a tutta la sua discendenza maschile. Paura. E coscienza sporca.
Lui trascorse in esilio molti anni. Con dignità e senza clamori. Riceveva affabile i suoi compaesani che andavano a trovarlo. Perché, in fondo, molti ne avevano nostalgia. Se non altro di un uomo che sapeva cosa fosse la dignità. E che, forse, avrebbe potuto dare all’Italia un punto di riferimento stabile. Dal Quirinale, come scrisse il grande giornalista Giovanni Artieri.
Invece, il Quirinale, dopo di lui ha avuto ed ha ben altri inquilini… altra razza di uomini. E quanto a dare stabilità…. vabbè…
È andata così…
Morì il 18 Marzo di quaranta anni fa. E questo paese gli negò anche la sepoltura…
Riposa in pace ovunque tu sia, Umberto II di Savoia. Re di Maggio.