C’era una volta… beh, sì… Questa sera ho voglia di raccontare fiabe. Ma non fiabe di fate e folletti, fiabe per bambini, sempre ammesso, e non concesso, che le fiabe siano per bambini, visto ciò che ne dice il professor Tolkien nel suo “Albero e foglia”. C’era una volta non un Re, e neppure un pezzo di legno, come in quel genio del Collodi…
C’era una volta….un paese…

Un bel paese, tutto sommato. Dove, a sud, profumavano i limoni, e, a nord, il vento, che veniva da lontano, dalle gelide steppe, intonava stupende sinfonie tra alberi antichissimi. E i Geni, che vivevano in quegli alberi, si sedevano sui rami,, ad ascoltare incantati…
Chiedo scusa, per la divagazione, ad eventuali lettori e lettrici – io quel balordo * neutro e politicamente corretto mi rifiuto di usarlo – e soprattutto chiedo scusa, per le rapine, a Goethe e a Buzzati…
Ma era per dire che quel Paese aveva tutto per essere felice. Tranne, forse, gli uomini. Sia gli uomini che lo governavano, sia quelli che dovevano essere governati. Insomma, i suoi abitanti erano sempre scontenti e insoddisfatti. Così, un bel giorno decisero che per fare le cose, tutte, non ci volesse una qualche competenza. Che so, saper lavorare il ferro per fare il fabbro, sapere la matematica per insegnarla. Sapere cucinare per fare da mangiare. Cose così, insomma… Abbastanza ovvie, tutto sommato. Ma a loro, agli abitanti di quel bel Paese, non stava bene. E decisero, dunque, che la competenza non contava. Anzi, era antipatica. Perché ogni uomo doveva valere come un altro. E tutti dovevano essere intercambiabili.
Così, misero a cucinare il pane chi lo faceva bruciare. A guidare il tram i ciechi. A insegnare ai bambini degli analfabeti che non sapevano né leggere né scrivere…. Per un poco le cose andarono male, ma in modo sopportabile. Non si notava troppo. Anche perché c’erano altre cose che distraevano l’attenzione. C’era il campionato di calcio. C’era il festival della canzone. C’erano le vacanze e i bagni di mare. C’erano gli spaghetti, il mandolino, il sole…

Poi, però, arrivò il Nemico. La Grande Minaccia. Un nemico invisibile. Che nessuno vedeva… Ma siccome i raccontastorie dicevano che era molto cattivo e pericoloso, tutti cominciarono a parlarne. E soprattutto a credervi. E ad avere paura. Tanta paura. Al punto di non uscire più di casa. Di non esporsi al sole. Di non vedere più gli amici. Di stare sempre più soli. E intanto nessuno più cucinava il pane. Nessuno più insegnava ai bambini. Nessuno più coltivava la terra. I limoni non fiorivano più. Tutto languiva. Tutto… moriva. L’unica cosa che contava era stare al sicuro. Nascosti. Al buio…
Qualcuno, qualche malfidente dal carattere balordo, osò avanzare l’ipotesi che fosse tutta un’invenzione. O, per lo meno, che ci fosse qualcuno che sfruttasse la paura per farsi i suoi affari. Ad esempio per diventare ricco con degli strani pezzi di carta che, si diceva, tutti dovevano portare sempre sulla bocca. Altrimenti il Nemico invisibile li avrebbe riconosciuti. E divorati.
Le cose andarono avanti così per un po’. Poi, però, cominciarono ad esservi problemi. Molti. Troppi. E in tanti cominciarono a pensare che non fosse possibile continuare. Che ci volesse Qualcuno capace di sconfiggere il Nemico. Capace di costringere tutti, anche quei pochi balordi che paura non avevano, a seguire le Regole. Delle Regole severe, dure. Imposte dall’alto.

E così chiamarono il Gigante. Che veniva da lontano. E questo decise subito che per combattere e sconfiggere il Nemico, che nessuno aveva visto, era necessario che tutti rinunciassero ad ogni libertà. Che tutti obbedissero agli ordini. E chiamò uomini particolari, soldati, agenti segreti, e li mise a dirigere il paese. E cominciò a decidere, in modo inappellabile, che cosa si dovesse vendere di quel paese. E a chi. Chi potesse lavorare, e chi no. Chi studiare, e chi restare ignorante.
E gli abitanti del Paese che, poco tempo prima, non volevano differenze, volevano che tutti fossero uguali… gli abitanti, i buoni paesani, applaudirono tutti contenti. Chinarono la testa e…
Non c’è un finale. Non ancora, per lo meno. È una fiaba sospesa. Un’opera aperta. Certo, in genere le fiabe sono a lieto fine. Arriva il principe azzurro, e tutto va a posto…
Ma io non sono bravo a raccontarle le fiabe. E quindi chiudo qui.
C’era una volta un Bel Paese… C’era, appunto…