Tranquillo, Direttore. Non è un, furbesco, tentativo di riciclare un vecchio articolo su Diogene, il cinico, con tanto di botte e lanterna… dettato, come sospetti, dalla penuria agostana di argomenti.
Che, poi, è più una leggenda che altro. Perché è proprio in agosto, mentre tutti sono in vacanza (almeno col cervello) che accadono cose determinanti per il nostro futuro… che si muovono pedine, alfieri. Torri. Regine e re.
Comunque, l’Uomo che, a quanto mi sembra, si sta cercando disperatamente è un leader. Un leader per quella destra – sociale, tradizionale, reazionaria, nazionalista od altro – che si pone, o vorrebbe porsi, a destra (scusate la tautologia) della Signora Meloni e dei suoi Fratelli e Sorelle.
Dove lo spazio, con ogni probabilità, ci sarebbe. Ma, appunto, sembra mancare l’Uomo. Ovvero il leader, capace di mettere insieme tanti frammenti. E di dare loro un’unica voce. Un obiettivo comune e un futuro.
Non è, tale assenza, un problema da poco. Anche perché la Destra italiana, di qualunque tipo, ha un cronico problema… quasi una malattia. Ha bisogno, vitale, di un leader. Di un Capo in cui identificarsi e da idolatrare. E questo ha sempre fatto passare in secondo piano la questione di una classe dirigente perlomeno adeguata.. Anzi, troppo spesso, ha fatto dimenticare le sue carenze. O la sua totale assenza.
A Sinistra, come sappiano, la cosa è abbastanza diversa. Certo, anche lì, da Stalin in giù, il culto del leader è stato importante. Ma, accanto a questo, ha sempre prestato attenzione ai quadri dirigenti. Che ne hanno costituito, e, anche se solo in minima parte, continuano a costituire, l’ossatura portante. Permettendole di superare anche lunghe fasi di assenza o inettitudine della leadership. Resta da vedere se ancora, tale sistema, reggerà all’effetto Schlein. Sinceramente ho molti dubbi.
Ma per la Destra, o meglio le Destre italiane, la ricerca del leader è, dal dopoguerra ad oggi, una vera malattia.
Perché, in fondo, vi è una inguaribile nostalgia di Lui. E non ci si rende conto che uno come Lui non lo si trova dietro ogni angolo.
E neppure, ad essere sinceri, neppure uno come Giorgio Almirante. Che aveva, certo, limiti e che ha fatto, ed accettato, molti errori. Ma aveva personalità, intelligenza e statura politica. Fascino. E questo va riconosciuto anche da coloro che, come lo scrivente, sull’idolatria dello storico Segretario hanno sempre nutrito parecchie perplessità.
Almirante, però, aveva intorno un gruppo dirigente. Coetanei, suppergiù. Uomini di valore forgiati in altra epoca. Tripodi, Romualdi (forse l’uomo di maggiore statura morale), Rauti, e anche De Robertis, Marchio, Tedeschi, e tanti altri. A discendere sino ai quadri regionali.
Il limite fu di non fare crescere una classe dirigente giovane. Anzi, di privilegiare gli yesmen sulle intelligenze critiche. E così ci siamo ritrovati nell’era Fini. Un Capo costruito artificialmente. A tavolino. Come si è visto poi, il vuoto catodico. Eppure è stato anche lui oggetto di, malriposta, venerazione. E da parte di qualche nostalgico, in buona fede, lo è paradossalmente, ancora.
E siamo arrivati all’era della Giorgia. Sulla quale mi limito a dire che rappresenta veramente il segno dei tempi. E sono tempi caratterizzati dal… nulla. Nullità di idee, nullità di capacità. Problema generale della politica italiana.
Ma la Meloni è fortunata. Perché all’orizzonte, veri leader di Destra non si vedono. Berlusconi – che, a suo modo, era un leader autentico, anche se non di destra – ha tolto il disturbo. Era ancora l’unico che, nonostante tutto, osava dire verità scomode. E a dare voce a diffusi mal di pancia.
Salvini? Il Capitano? È dai tempi del Paapete che non ne imbrocca una. Sembra un pugile suonato… ma che gli avranno dato da bere quella volta?
Quindi, all’ interno della sua maggioranza, la Giorgia può continuare a dormire sonni tranquilli. Come sta, mi sembra, facendo da che è a Palazzo Chigi.
Però alla sua destra si agita una foresta di inquieti, ed inquietudini. Una galassia di gruppi, associazioni, centri e individui che in questa Destra meloniana, atlantista e asociale, dominata dagli interessi di Crosetto, non si riconoscono. E che vorrebbero fare altro. Dire altro.
Lo ha compreso Gianni Alemanno. Che è stato il più intelligente, e indipendente, dei Colonnelli dell’era di Fini. E che, col Manifesto di Orvieto, sta provando a costruire una difficile unità. Di intenti, almeno.
Ma Alemanno lo fa per coerenza con la sua storia. E per riscattare le ombre del passato. Non può essere il Leader idolatrato. La Guida indiscussa che queste destre sparse invocano. Non lo è mai stato, per carattere. Né mai ha cercato, onestamente, di porsi come tale. E questo va a suo merito. E merito della sua intelligenza.
E allora? C’é chi guarda addirittura a Marco Rizzo, vero Direttore? Lo hai già spiegato bene…
Chi attende una qualche epifania salvifica… ma la politica si fa giorno per giorno… non con le attese escatologiche.
Adesso, poi, è saltato fuori un Generale arrabbiato. Molto arrabbiato…
Staremo a vedere…