Un chatbot consiste in un algoritmo che simula una conversazione fra uomo e uomo pur trovando da una delle due parti un assistente virtuale che, proprio come un uomo, legge il messaggio, lo interpreta in base alle istruzioni che gli sono state impartite per analizzarlo e agisce nella maniera predefinita
Quanto tempo trascorriamo davanti allo schermo
Sapevate che sono mediamente undici le ore stimate trascorse allo schermo, per giorno, da ciascuno di noi?
A dirlo è stato un rapporto Nielsen dello scorso anno dove, ad aggiungersi al numero di ore, si è analizzato il tipo d’interazione che ognuno adotta con il computer o con qualsiasi dispositivo mobile in proprio possesso: principalmente è emerso consistere in una digitazione, nella ricerca d’informazioni in Rete o semplicemente in una conversazione fra colleghi o amici via e-mail. Tradotto: un dialogo a senso unico.
Se il dato delle ore trascorse al video in quest’anno appena trascorso non è cambiato, non altrettanto vale per il tipo di comunicazione e, oggi, se abbiamo necessità di una risposta, un supporto o una generale assistenza, sappiamo di poter contare su un dialogo bidirezionale.
Chatbot: una “chat” fra noi e… un ro-“bot”
È terminato proprio la scorsa settimana a Tokyo il Gartner Customer Experience Summit 2018, dove autorevoli analisti hanno esposto i principali trends in materia di assistenza al cliente, significativi i risultati emersi.
In termini di benefici le organizzazioni hanno registrato una riduzione fino al 70% nelle richieste di chiamate, chat o e-mail dopo l’implementazione di un chatbot con un 33% di risparmio riscontrato nel coinvolgimento vocale.
In termini di propensione all’investimento si stimano nel 25% le operazioni di assistenza e supporto clienti che integreranno la tecnologia di assistenza virtuale entro il 2020 – rispetto a meno del 2% nel 2017 – e nell’84% le organizzazioni che prevedono di aumentare gli investimenti nella tecnologia di customer experience nell’anno in corso; non da ultimo, entro il 2019, il 20% dei marchi abbandonerà le proprie app mobili in favore di una maggiore presenza nelle app di messaggistica istantanea – come Facebook, Messenger e WeChat – per raggiungere i clienti dove si ritiene trascorrano un’alta percentuale del proprio tempo.
Dati ne abbiamo a sufficienza per esserci persi almeno qualche riga un po’ più su, proviamo quindi a chiarire le possibili integrazioni ed evoluzioni di questo nuovo strumento di dialogo con Diego Gosmar, co-fondatore di XeniaLab, principale azienda esponente del settore e organizzatrice di un interessante workshop sul tema che si terrà domani sera, 27 febbraio ore 17:45, all’I3P – l’Incubatore d’imprese torinese – dove si cercherà di comprendere cosa siano i chatbot e come possano essere utilizzati al meglio in ambito business per la propria azienda.
Abbiamo citato l’intelligenza artificiale…
Perché “un chatbot – ci racconta Diego Gosmar – consiste in un algoritmo che simula una conversazione fra uomo e uomo pur trovando da una delle due parti un assistente virtuale che, proprio come un uomo, legge il messaggio, lo interpreta in base alle istruzioni che gli sono state impartite per analizzarlo e agisce nella maniera predefinita”.
Sembrerà assurdo pensarlo ma non accade anche a noi di agire secondo pattern mentali e comportamentali che il buon galateo di Monsignor Della Casa, o chi per lui, ci insegna nei diversi ambiti di applicazione?
È quindi chiaro ciò che occorre implementare alla nostra macchina per evitarne il blocco.
La capacità di contestualizzare i messaggi ricevuti e di proporre una risposta adeguata all’esigenza
XeniaLab ha fornito una soluzione in questa direzione facendo leva su una peculiarità proprietaria tecnologica: “Una soluzione, cosiddetta omni-channel, aperta ai più svariati canali di comunicazione in grado di collettare e integrare tutti metodi d’interazione utilizzati dall’utente – siano essi mail, piattaforme di messaggistica istantanea social, telefonate – per costruire una sorta di sistema cognitivo capace di elaborare analisi, recepire e trasferire dati”.
Che di soluzione a un problema o di riscontro a un desiderio si parli: “Questo sistema cognitivo – continua Gosmar – forte dello storico tracciato di tutto quanto condiviso con un utente, a oggi, si sta cercando di renderlo capace di identificare autonomamente il momento in cui risulti necessario volgere la conversazione a un operatore fisico poiché il tasso di confidenza della risposta non si ritiene più essere sufficientemente ragionevole“.
La strada verso la sostituzione dell’uomo in ambito assistenza clienti è tracciata ma il percorso è ancora lungo.
Una curiosità, nel nome dell’azienda, e una riflessione al tempo stesso: Xenia in greco antico significa “ospitalità”, oggi si tradurrebbe con “ collaborazione”.
Chatbot: quanto durerà ancora la collaborazione reciproca fra noi e loro?