J. L. Borges aveva un dubbio. Uno strano dubbio. Perché era sulla consistenza, o meglio sulla realtà del suo stesso Io.
Si chiede infatti se il suo io non sia che la somma di incontri con persone, luoghi visitati, libri letti…donne amate.
Potrebbe sembrare un vezzo da letterato. Uno dei letterati più raffinati, colti, e potremmo dire, eruditi nel senso tradizionale del termine, dello scorso secolo. Complesso, labirintico, nonostante il dettato cristallino della sua poesia…
Quindi, alla fin fine, potrebbe sembrare una sorta di…posa.
E, invece, è ben altro. È la traduzione, nel linguaggio particolare di Borges, di un quesito, una domanda fondamentale. Chi sono io?
La domanda che ogni uomo dovrebbe porsi. E non occasionalmente, ma di continuo, nel corso della vita. E che, all’opposto, cerchiamo sempre di eludere. Perché…ci fa paura.
Chiedersi “chi sono io?” è come sprofondare in un vortice di sabbie mobili. Un gorgo, in cui ti viene a mancare il terreno sotto i piedi. Non vi è più nulla di solido. Nulla cui aggrapparsi. È una sensazione straniante. Che ci terrorizza.
Kipling, nel suo “Kim”, l’ha descritta con rara intensità. E Borges era appassionato lettore di Kipling.
Per altro, Kipling era suggestionato dal suo suo profondo legame con l’India. Non solo perché vi era nato, per altro a Bombay, la più inglese delle città indiane. Ma perché i colori, le atmosfere, un certo alone, diciamo così, spirituale di quella civiltà se lo portò sempre dentro. Anche se soggiornò a lungo tanto in Inghilterra che negli States, e viaggiò molto, in Asia e Africa. Divenendo il cantore del colonialismo, un Wighs imperialista, vicino a Chamberlain e a Mckinder, il fondatore della moderna geopolitica. Un imperialista senza ombra di dubbio alcuno, come, invece, troviamo in Conrad. Resta esemplare il suo “Fardello dell’uomo bianco”. Esempio, a dire il vero alquanto protervo, della mentalità coloniale inglese.
Eppure la spiritualità indiana, antica, misteriosa, in lui lasciò traccia profonda. E Kim ne é un esempio. Pur essendo, nelle intenzioni, il romanzo del Grande Gioco, vede affiorare domande sul senso dell’essere di fatto estranee alla tracotanza dei dominatori .
Domande come, appunto, Chi sono io? Intorno alla quale ruota tutta la filosofia indiana. Una filosofia che, però, mai si è astratta dall’esperienza spirituale. Mai è divenuta mera teoria. Come dimostrano figure come Ramana, Ramakrishna, Aurobindo… Grandi pensatori e maestri spirituali al tempo stesso. Come dovevano, per altro, essere le antiche scuole greche. Quelle di Pitagora, Platone, Aristotele… Che non erano certo le aride, e spesso squallide, odierne aule universitarie.
Per altro, secondo la Vita scritta da Rosenkranz, ancora Hegel associava all’insegnamento teorico degli…esercizi spirituali, volti a comprendere cosa sia l’io…
Ma torniamo a Borges. E prendiamo la sua affermazione. Leggendola come una sorta di…disciplina del pensiero.
Io, ovvero ciò che sono uso considerare il mio io, è un complesso di molte, moltissime cose. Di esperienze di ogni tipo. Incontri con persone. Maestri che mi hanno insegnato. Amici. Buone e cattive compagnie. Errori e scelte. Luoghi visitati. Ad esempio l’emozione provata girando, per la prima volta, tra le rovine di Pompei. Contemplando gli affreschi di Assisi. Salendo, sotto il sole di agosto, sino all’Acropoli di Atene… Tutte esperienze che hanno lasciato in me un marchio indelebile, più ancora che un ricordo.
E poi i libri letti. Soprattutto alcuni. La Commedia, frequentata ossessivamente per tutta la vita. I Cantos di Pound. Pirandello, Svevo, la poesia di Eliot e quella di Valery. Borges, appunto. E le saghe scandinave. L’Eneide, l’Odissea. L’Iliade e la Bhaghavad Gita. Shakespeare…
E anche opere meno… impegnative. Ma non meno incidenti su ciò che io, oggi, sono. O credo di essere. Guareschi e Rex Stout. Wodheouse che mi ha regalato il sorriso nei momenti tristi. I romanzi di Salgari che hanno fatto sognare la mia giovinezza…
E poi, dice ancora il poeta di Buenos Aires, vi sono le donne che ho amato. O creduto di amare. Tutte. Le storie lunghe, importanti. Felici o tormentose. E gli incontri fugaci. E persino le donne solo intraviste per un attimo per la via. E subito sparite. Di cui mai ho saputo neppure il nome.
Io sono, certo, tutto questo. Ma…resta il dubbio. Tutto questo è il mio Io?
Con lo scorrere degli anni, il dubbio di Borges mi diventa sempre più…familiare. Senza trovare risposte razionali.
Perché, forse, l’unica, autentica, è quella del giovane Kim. Sprofondare nelle sabbie mobili. E perdere tutto ciò che sono. Ogni certezza. Ogni sicurezza. Perdersi totalmente.
Almeno in apparenza…