“Lei non sa chi sono io!” tuona l’on Trombetta, o come diamine si chiamava, davanti al principe Antonio de Curtis, più noto come Totò, porgendogli l’occasione per una memorabile battuta… Una di quelle che hanno segnato la storia del nostro cinema. E fotografato, in un lampo, il divenire dei costumi…
Già… İo, Io, Io… Ripetizione ossessiva, sempre rigorosamente con la MAIUSCOLA. Anzi, con la doppia maiuscola, IO, come in altro film degli anni d’oro della Commedia all’italiana “IO, IO, IO… E gli altri”. Di Alessandro Blasetti. Con un cast da paura, Mastroianni, Manfredi, Vittorio Caprioli, la bellezza sfolgorante della Lollobigida, quella più inquieta della Mangano. E, sopratutto, un gigantesco e gigionesco Walter Chiari, il genio pazzo del nostro cinema, sottovalutato per la sua storia personale e il suo carattere…
Commedia, satira di costume e malcostume… Perché il pronome di prima persona, “Io”, nella nostra lingua, l’italiano, suona male. Stonato, un po’ da burini, ad esser sinceri. O cafone. Non è il tedesco, che ne richiede, sempre e obbligatoriamente, l’espressione, il secco ed aspro “Ich” che segna la frase con il suono, cupo, di un’ascia che percuote lo scudo. Da noi è quasi fastidioso. Tranne che in, rari, contesti. Come in Latino, dove Ego viene usato con parsimonia da speziale. Col bilancino del farmacista. E serve a dare enfasi e solennità ad una particolare affermazione
“Ego scriptor!” come ci ricorda Pound…
Ma il “non sa chi sono Io” dell’onorevole Trombetta ci muove al riso. E la risposta “un cretino!” ci affiora subitanea. Naturale. Anche perché cela una domanda che ben pochi hanno il coraggio di porre a sé stessi
“Già… Ma chi sono io?”
E che è, in fin dei conti, la domanda cruciale. Quella fondamentale e risolutiva. Cui andrebbero ricondotte tutte le altre. Le domande, i dubbi, i tormenti. Le paure che intessono e governano la nostra esistenza.
Ricordi di tanti, ormai troppi anni fa. A Trieste. Le lunghe, interminabili chiacchierate a casa di Franco. Nel suo studio, una specie di torretta, da cui vedevi le stradine, scoscese e attorte, di San Luigi… Fu lì che, per la prima volta, sentii parlare di Ramana.
Ramana Maharshi, il saggio dell’Aurunachala. La Montagna Sacra nel sud dell’India. Sacra a Shiva. Dove Ramana, che veniva da una famiglia Indiana ormai anglicizzata nei costumi, si ritirò a 17 anni. E vi trascorse tutta la vita. Parlando poco. Un lungo silenzio eloquente…
Viene considerato uno dei moderni Maestri dell’Advaita Vedanta… Ma queste classificazioni, sinceramente, significano poco. Roba per orientalisti accademici.
Ramana, per altro, è ben difficile da incasellare in uno schema, in una dottrina. Perché mai ne ha davvero enunciata una. Certo, su di lui i libri, oggi, proliferano. Più o meno seri. Più o meno documentati. Ma all’epoca, quando ne sentii parlare da Franco, vi era veramente poco. Quasi niente. Ricordo, solo, un libro, di quell’inquieto viaggiatore e ricercatore che fu Paul Brunton…
Nella sostanza, tutta la dottrina del Maestro indù, si risolveva nel porsi una domanda: Chi sono io?
Porsela in modo ossessivo. Assoluto. Meditando senza interruzione. Solo questa domanda. Senza nessun orpello dialettico. Solo la domanda. Nuda e cruda. Essenziale. Semplice.
Ma non elementare. Perché serve a sfondare, scorticare la costruzione della nostra personalità ordinaria. Quotidiana. Con le pulsioni psichiche e ormonali, il caotico magma di paure, preoccupazioni, sensazioni, emozioni, istinti che confondiamo con il pensiero. E che rimestiamo di continuo, come bestie soprofaghe tra le tombe. Chiamando tutto questo “io”. E vivendo, per modo di dire, pieni di noi stessi. Ovvero, pieni di quella melma che crediamo di essere. E con la quale ci identifichiamo morbosamente. E preciso che il termine “melma” è un eufemismo. Perché tra chi legge mi risultano alcune gentili signore…
Scorticare, o sbucciare quella che consideriamo la nostra, preziosa, personalità. E che ci rende stupidamente arroganti. E pavidi perché abbiamo una paura boia di perderla. E non vogliamo accettare che, invece, questa perdita sarà inevitabile. E necessaria.
Il non accettare questo ci rende disponibili a tutto. Schiavi. Proni a qualsiasi vessazione. Miserevoli e miserabili. Pirandello probabilmente non conosceva Ramana. Ma lo aveva compreso. I pupi e il cielo di cartone. Il monologo finale di Enrico IV… E altre mille pagine…
Già… Pirandello e Ramana. Due tipi riservati. Silenziosi. Ma.. se il destino avesse voluto farli incontrare, credo che si sarebbero bene intesi. Senza bisogno di tante parole. Di tanti discorsi inutili…
Quelli lasciamoli all’onorevole Trombetta.
Al suo arrogante “Lei non sa chi sono io!”
E alla risposta del Principe De Curtis, discendente di Imperatori di Bisanzio…
“Lei è un cretino. Si informi!”