“Ma perché non vai mai al mare?” mi viene talvolta chiesto. Da amiche, soprattutto. Ché le donne, in maggioranza, amano le vacanze sulla spiaggia.
Io preferisco la montagna, sono solito rispondere. Per tagliare corto, più che altro.
Ma la scelta, a essere onesti, meriterebbe una risposta più articolata.
Certo, potrei cavarmela dicendo, semplicemente, che preferisco la montagna.. Che mal sopporto il caldo. L’affollamento delle spiagge…il rumore. Tutte cose vere, per altro.

Ma sarebbe, appunto, un semplificare.
Vedete – e scusate la memoria personale, tipica dei vecchi – da bambino ero uso fare entrambe le vacanze. Monti in Luglio. Spiagge in Agosto. Si poteva, allora. Anche, anzi soprattutto, perché ci si accontentava di poco. Ora se l’albergo non ha la piscina e il centro benessere, la stanza la jacuzzi, il menù alla carta con specialità dietetiche e per vegani, ci sembra di essere in una specie di campo profughi. Allora l’albergo in montagna era una specie di rifugio. Lavandino in camera e coperte militari su brande. Il bagno in comune nel corridoio. Un primo, un secondo con contorno. Frutta. La domenica il dolce. Colazione burro e marmellata.
Al mare non era molto diverso. Solo Che c’era una doccia in stanza. E in spiaggia un ombrellone e due sdraio. Roba da poveri, dirà qualcuno. Solo che noi, così, si facevano circa due mesi di vacanze. Voi, per fingere di essere ricchi, grasso che cola se arrivate alle due settimane.
Io, già allora, mi divertivo di più in montagna. Scarpinate, rifugi, cantare in coro, partite a carte, boschi e cerca di funghi. E poi, lì, avevo una compagnia che tornava ogni anno. Mi sentivo a casa, pur in vacanza.
Non che al mare mi annoiassi. Vi erano, anzi, forse ancor più occasioni di svago. E poi….beh, c’erano donne e ragazze in bikini. E ai tempi non vi erano i social, i video ed altro… E per vedere un po’ di natura esposta, dovevi andare in spiaggia…
Però la montagna mi trasmetteva…altro. Svegliarsi, e contemplare l’Aurora che rendeva le aspre rocce Dolomitiche una fioritura di rose. Sentire l’odore dei mughi portato dal vento. Osservare un falco in volo, che puntava la preda. Erano, e restano, emozioni spirituali. Qualcosa di, profondamente, magico.

Certo, anche il mare ha una sua suggestione. Una sua magia. All’alba e al tramonto, soprattutto. Nel silenzio. Nel vuoto di voci e persone. Solo il volo di un gabbiano. E il profumo di alghe e salsedine. Un senso di immensità. Di infinito, così come lo intende Leopardi.
Però è un attimo. Poi le spiagge sono folla. Rumore. Una riproduzione in vacanza della città.
Poi, naturalmente, puoi cercare luoghi, baie solitarie. Ed è diverso. Molto. Come ho sperimentato in Calabria. E poi in Croazia. E lì percepisci la magia del mare. Che, però, vive realmente solo chi naviga a vela. Ed è stupenda la narrazione che fa Pirsig nel suo “Lila”. La discesa dell’Hudson in solitaria. A vela. Come esperienza spirituale.
La Montagna, però, è l’altezza. L’aspirazione verso un altrove che non si trova oltre il limite dell’orizzonte. Si trova al di sopra di noi. Il regno degli Dei. Asgard. Per il quale le cime innevate indicano la via. Una dimensione superiore. La leggenda tibetana di Shambhalla, celata tra le vette inaccessibili dell’Hymalaya.
Il mare è inquietudine. Desiderio di altri mondi. Di avventure e infinito. Di libertà. Hugo Pratt vi ha dato voce nello straordinario personaggio di Corto Maltese.
La Montagna è più…meditativa. Come dice Evola, appassionato alpinista, nelle sue Meditazioni delle vette.
È misurarsi con se stessi. Conoscersi. Per poter superare l’ostacolo. Esteriore e interiore che sia. E, in genere, uno è l’immagine speculare dell’altro.
Non odio il mare. Anzi. Detesto, certo, quella triste finzione di divertimento che sono le spiagge agostane. Ma il mare, nel suo vasto silenzio, mi attrae.
Però la Montagna è per me altro. È contemplazione della natura. E misura di se stessi. È silenzio. Un silenzio in cui puoi, finalmente, sentire voci che abbiano un senso.