Il risultato del referendum costituzionale del 4 settembre con cui i cittadini cileni dovevano approvare o respingere il nuovo Testo fondamentale del Paese sudamericano ha generato un maremoto nella sinistra latinoamericana e non solo.
La netta vittoria del rifiuto, che ha sfiorato il 62%, e l’enorme partecipazione alla tornata elettorale, ben il 75% degli aventi diritto in una nazione storicamente affetta da un grande tasso di astensionismo, devono far riflettere molto i propugnatori di questa Carta.
Redatta dai 155 membri dell’Assemblea Costituente quella che sarebbe potuta diventare la nuova Costituzione del Cile constava di ben 388 articoli tra cui i più discutibili riguardavano la denominazione di “Stato plurinazionale” e l’enorme apertura ai diritti civili e di genere. Si potrebbe facilmente giungere alla conclusione che i costituenti abbiano partorito una stesura troppo di parte senza tener conto di intere fette della popolazione in una nazione in cui anche la sfida per la presidenza della Repubblica aveva polarizzato i sostenitori del conservatorismo e del progressismo solamente nove mesi prima.
L’altro dato, per nulla secondario, è che a restare in vigore sarà la Costituzione del 1980 emendata dalla dittatura militare guidata da Augusto Pinochet, un motivo in più per accelerare il dibattito parlamentare tra maggioranza e opposizione volto a trovare un’intesa tra le diverse anime politiche. Da parte sua Gabriel Boric, il più giovane inquilino di Palacio de la Moneda, ha provveduto ad un rimpasto di governo sostituendo ben sei ministri tra cui quello degli Interni e spostando l’asse dell’esecutivo verso il centro all’interno della propria coalizione.
Come riportato anche da L’Antidiplomatico, l’analista Amauri Chamorro ha individuato le cause di questa sconfitta alla limitazione, da parte della sinistra, “a parlare di marijuana, identità di genere e aborto senza affrontare di petto le vere cause della disuguaglianza e della povertà che affliggono le popolazioni in America Latina e nei Caraibi” prendendo perfino “posizione contro Cuba, Venezuela e Nicaragua per compiacere i media e gli indecisi”.
Rinunciando alle posizioni storiche si può giungere solo alla sconfitta nella madre di tutte le controversie: quella culturale.