I dati definitivi del referendum costituzionale avrebbero dovuto placare la rabbia della maggioranza della popolazione cilena che si è, invece, ora concentrata sulla richiesta di dimissioni al presidente conservatore Sebastián Piñera, la cui coalizione di maggioranza aveva fatto propaganda attiva per mantenere l’attuale Costituzione, figlia della dittatura militare di Augusto Pinochet.
Con un semplice tam-tam sui social network, i principali gruppi sociali attivi dallo scorso anno nel Paese sudamericano hanno rapidamente radunato oltre 10 000 persone nel centro della capitale Santiago, con l’intenzione di marciare in corteo fino al palazzo presidenziale.
Lo schieramento in assetto antisommossa delle forze dell’ordine ha dato il via a violenti scontri tra le frange estreme appartenenti ai manifestanti e le stesse autorità che con lacrimogeni e cannoni ad acqua hanno disperso, non senza difficoltà, il gruppo di persone incappucciate che ha risposto con lanci di pietre oltre all’appiccamento di incendi alle fermate degli autobus. Tra i feriti si contano decine di intossicati per via dell’inalazione di sostanze chimiche.
La volontà di Piñera, evinta già all’indomani dei risultati del referendum, è quella di portare a termine il proprio mandato presidenziale (giunto solo a metà) facendo slittare il più possibile i vari procedimenti di scrittura e attuazione della nuova Costituzione ma la capacità organizzativa dei cileni, che anche nel corso del lockdown hanno continuato negli scorsi mesi ad organizzare senza sosta proteste di piazza, rischiano di complicare non poco la volontà dell’inquilino di Palacio de la Moneda in un momento in cui i suoi omologhi di destra liberale non se la passano meglio, dal Guatemala al Brasile, per via del rilancio dell’agenda dei diritti sociali sicuramente più affine alla sinistra sovranista di recente vincitrice delle elezioni in Argentina e Bolivia.
Cile, Pinera inasprisce la repressione dopo aver perso il referendum
