Parliamo di…. Cimiteri.
Sai che allegria… sei proprio di buon umore oggi…
E, invece… perché, vedete a me i cimiteri non hanno mai messo paura. E non li ho mai trovati luoghi cupi, da evitare se non in certe date obbligate, il 2 Novembre in primis, e qualche funerale dal quale non ci si può proprio esimere…
Anzi, sin da ragazzo hanno esercitato su di me una notevole attrazione. Strana, certo. Ma non proprio insolita, ché è proprio della giovinezza porsi interrogativi sulla vita e la morte. E provare il fascino di ciò che ci incute paura. Man mano che si invecchia, si cerca di pensare sempre meno. Di diventare il più possibile stupidi. Perché, in fondo, siamo convinti che solo uno stupido totale potrebbe essere davvero felice.
Comunque, le tombe mi affascinavano. Forse perché, dalla finestra della camera, potevo vedere i cipressi del cimitero della mia città. E la notte le luci tremolanti dei lumini funerari. Che non mi incutevano paura…. mi facevano compagnia. E, come dicevo, mi stimolavano a pensare… E poi avevo letto che Byron, da giovane, anzi giovanissimo, amava passeggiare nei cimiteri. E addirittura si stendeva sulle lastre tombali. Per meditare sul senso della vita. E per me, al tempo, Byron era un mito. Anche perché odiato dalla mia professoressa di inglese. Gran bella donna ad essere sinceri…. Ma carogna e antipatica come poche.
Dunque, anch’io, per imitazione, andavo qualche pomeriggio a passeggiare per il cimitero. Fermandomi davanti alle tombe più vecchie, per leggere nomi ed iscrizioni. Vecchie, non antiche, ché si trattava di un Camposanto recente, roba dei primi del ‘900…certo in America sarebbe potuto sembrare antico, e magari ispirare un’altra Antologia di Spoon River… Ma lì la storia avrà, si e no, tre secoli. Noi si convive da sempre con cimiteri secolari. Che raccolgono reliquie da millenni.
Come Santa Croce. A Firenze. Che ho visitato varie volte. Solo e accompagnando studenti di varie classi in gita. Che, per altro, era fatica non da poco. Ma mi divertiva.. .questo, naturalmente, prima che….
Ogni volta che ho messo piede in Santa Croce, ho provato un’emozione profonda. Roba da brividi. Interni ed esterni. Non per la bellezza in sé del luogo. Che, certo, bello è bello… Arnolfo di Cambio ha saputo interpolare la cupa grandezza del Gotico con una leggerezza, e luminosità, tutta Toscana. E neppure per l’ariosa luce della Cappella dei Pazzi. Una luce che si fa trionfo di colori pastello, grazie alle nozze tra il genio plastico del Brunelleschi, e la fantasia artigiana dei Della Robbia. Tutto stupendo, quindi. Ma a darmi i brividi di cui parlo, è sempre stato il risuonare, nella memoria, del canto del Foscolo.
L’arca di quel grande che col temprare lo scettro ai regnatori gli allor ne sfronda….
…. Di colui che levò in Roma nuovo Olimpo agli Dei celesti…
… Di chi vide sotto l’etereo padiglion ruotar più mondi, e il Sole al centro irradiarli immoto, onde all’Anglo che tanta ala vi stese, sgombrò per primo le vie del firmamento…
(citazioni a memoria, per cui non mi scuso di eventuali errori…)
Insomma le Arche, le tombe dei Grandi. Qui rappresentati solo da Machiavelli, Michelangelo, Galileo…. ma ve ne sono altri, Leonardo Bruni, Torricelli… Alfieri. E lo stesso Foscolo.
Entrare era come immergersi non nel passato, ma nel flusso di pensieri, idee, sentimenti che hanno tessuto quella che, in mancanza di altre parole, chiamiamo la nostra storia. O storie, al plurale…. Presenze viventi, numinose. Non fantasmi. Che, anzi, quando sei lì, ti appaiono loro, quelli che sono nelle tombe, i veri viventi. E fantasmi i turisti, che si aggirano intorno a quelle tombe, con aria trasognata. Senza capire. Estranei.
San Michele in Isola. Venezia, il cimitero. Che ha ispirato la, celeberrima, Isola dei Morti di Arnold Bøckiln. Che , certo, è fantasia romantica. Eppure coglie perfettamente l’emozione che si prova innanzi a quell’isola avvolta dal silenzio, giungendo in barca, o, meglio ancora, nella tipica gondola veneziana. Che – se la si guarda con occhio non condizionato dal banale pittoresco ad uso turisti – è davvero un battello che sembra venire da un altro mondo. La nave di Caronte.
Lì, tra quei cipressi, sono le tombe di generazioni di veneziani. Secoli di storie di viaggi, commerci, battaglie, pirateria e amori.
E lì anche tombe di stranieri, uomini giunti dal nord e dall’est, che di quelle lagune calme si innamorarono sino al punto da volervi, infine, risiedere per sempre. Tra tutti, ricordo la tomba de Ezra Pound. Non una grande lapide. Piuttosto un piccolo giardino, di gusto nipponico. Con solo l’iscrizione delle date di nascita e morte.
Quando la vidi per la prima volta, mi vennero in mente i versi
“O Dio delle acque /come le tue stelle / a noi son mute nella loro corsa remota / Così il mio cuore / in me è divenuto silenzioso…”‘
I cimiteri sono poesia. E sono pregni di vita che urge dietro la pietra. E dalle profondità della terra. Mai mi hanno messo paura o angoscia. Anzi…
La paura, l’ angoscia le ho sempre incontrate altrove. Per le vie, grigie, delle città dei viventi. O meglio di coloro che si illudono di essere vivi….