Prima il politicamente corretto era, inevitabilmente, ambientalista. Ma ora, dovendo scegliere tra coerenza con quanto predicato per anni e obbedienza al padrone di Washington, i difensori della Terra hanno deciso che, in fondo, questo ecologismo è dannoso. Per l’ambiente? Certo che no! Per gli industriali occidentali. Perché questi maledetti cinesi stanno invadendo l’Europa con pannelli solari che costano poco e, di conseguenza, mettono fuori gioco le industrie del Vecchio continente ed anche quelle nordamericane.
Dunque, nell’impossibilità di competere sul piano dei prezzi, restano solo due opzioni. O si applicano dazi altissimi ai prodotti cinesi, con inevitabile ritorsione di Pechino sulle esportazioni, oppure si archiviano tutte le politiche a favore dell’energia pulita e rinnovabile.
Per dare un’idea sulle dimensioni del fenomeno basti pensare che, lo scorso anno, la Cina ha speso quasi 80 miliardi di dollari nella produzione di energia pulita, circa il 90% di tutti gli investimenti di questo tipo a livello mondiale, stima BloombergNEF.
La spesa annuale del Paese per l’energia verde è complessivamente aumentata di oltre 180 miliardi di dollari all’anno dal 2019, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia. Mentre Rystad Energy valuta che quest’anno la Cina installerà circa la stessa quantità di energia solare di cui dispongono complessivamente gli Stati Uniti. Pechino ha recentemente inaugurato una immensa centrale solare, la più grande del mondo, che ha superato quella già colossale dell’India. Ma anche Dubai sta sviluppando immensi parchi per energia solare.
Dunque, ancora una volta, Pechino e Nuova Delhi oltre ai Paesi Arabi. L’Occidente è perdente in questa competizione, e l’Europa è perdente anche nel confronto con gli Usa che ricorrono ai dazi mentre sostengono le proprie aziende con finanziamenti pubblici. L’Europa sta a guardare, dopo aver rinunciato all’energia a basso costo fornita da Mosca. Così i costi di produzione aumentano e la competitività si riduce. In attesa di un rilancio del nucleare che, però, avrà bisogno delle forniture in arrivo dai Paesi cattivi che non vogliono bene ai buoni atlantisti.