In questi giorni Quentin Tarantino, il regista statunitense autore di Pulp Fiction, è in Italia per presentare, tra le altre cose, la traduzione del suo ultimo libro “Cinema Speculation”, pubblicato il 21 marzo scorso da La Nave di Teseo (pp. 454, €20,00). La direttrice generale della casa editrice Elisabetta Sgarbi ha invitato il regista per promuovere la 24ma edizione della Milanesiana, il festival itinerante organizzato dalla stessa Sgarbi, che si terrà dal 23 maggio al 27 luglio in 23 città italiane e in 7 diverse regioni.
Nel suo libro Tarantino non parla, come ci si potrebbe aspettare, dei suoi film, ai quali accenna, e solo di sfuggita, in un paio di occasioni; bensì del suo rapporto con la settima arte fin da quando, ancora bambino, girava le sale cinematografiche di Los Angeles accompagnato dalla madre e dai suoi (di lei) accompagnatori più o meno occasionali.
Il libro si apre proprio con un capitolo dedicato a queste peregrinazioni. Siamo negli anni Sessanta e il piccolo Quentin si appassiona a diversi tipi di pellicole che andavano allora per la maggiore. Il più delle volte i cinema dell’epoca programmavano due o più film nella stessa giornata, così da consentire agli spettatori di vedere più di una pellicola con un solo biglietto.
Di seguito l’autore ci parla dei film che più lo hanno colpito a partire dall’epoca in cui egli incominciò ad interessarsi al genere da un punto di vista più tecnico, in vista del suo ingresso nel mondo hollywoodiano prima come sceneggiatore e poi come regista.
Si tratta di pellicole che si situano in un arco di tempo che va dai primi anni Settanta all’inizio degli Ottanta. Tarantino prende in esame Bullit di Peter Yates (unica pellicola dei Sessanta), Ispettore Callaghan: Il Caso Scorpio è Tuo di Don Siegel, Un Tranquillo Week End di Paura di John Boorman e diversi altri fino al capolavoro di Martin Scorsese Taxi Driver del 1976, film che rivelò al mondo il genio di Robert De Niro. La sua disanima non va oltre il 1981 allorché analizza il poco noto Il Tunnel dell’Orrore di Tobe Hooper, un film che Tarantino considera una pietra miliare del genere horror.
Chiude il libro un capitolo dedicato a un tal Floyd, un amico della madre che, quando Quentin era bambino, lo portava spesso al cinema e con il quale parlava quasi esclusivamente dei film che avevano visto entrambi. Una pagina della sua vita che riveste una grande importanza per l’autore del libro ma che finisce per essere poco interessante per noi lettori che ci siamo già sobbarcati qualche centinaio di pagine del suo libro. Una lettura, sia detto per inciso, estremamente divertente. Tarantino scrive come parla: e chi abbia sentito anche solo una volta una sua intervista sa di che cosa sto parlando. Ma il divertimento si accompagna alla competenza tecnica di un autore che conosce l’argomento alla perfezione e che riesce a comunicarci informazioni che sarebbe difficile trovare altrove: anche perché spesso si tratta di informazioni di prima mano.
Tarantino è certamente un “liberal”, il che si evince anche da quanto dice in questo libro. Stupisce pertanto come egli dedichi spazio a pellicole che lui stesso definisce “fasciste”, dal citato film di Siegel a Il Braccio Violento della Legge di William Friedkin, a Sentieri Selvaggi di John Ford che, pur essendo del 1956, rappresenta il modello al quale si sono ispirati molti filmaker degli anni Settanta. Tarantino riconosce agli autori di queste pellicole una abilità e una maestria che non si ritrova, per esempio, nei film ispirati alla cultura hippy realizzati alla fine degli anni Sessanta, primo fra tutti Easy Rider. Un amore ispirato dalla passione per il cinema fatto bene, indipendentemente dall’orientamento politico dei suoi autori.
Un atteggiamento che permette di apprezzare ancor di più un regista che lascerà certamente un segno indelebile nella storia della settima arte.