Gennaio è iniziato con un vento forte. E gelido. Come ben di rado ne ho sperimentati da che sono a Roma. Un vento del Nord, greve di pioggia… forse anche di neve, che ha imbiancato, appena una pennellata, gli Albani e il Soratte. Come doveva avvenire ben più di frequente un tempo, quando Orazio invitava il coppiere a mescere vino abbondante… e poco importava se dimenticava l’acqua…
È un vento freddo, come ho detto. Ma sono comunque uscito, per le strade deserte. Il primo giorno dell’anno, e per di più la, famigerata, “zona rossa”. Ormai ordinaria follia di un insensato dispotismo. Cui però i più sembrano essersi adattati. La nuova normalità della paura…
Però questo vento è piacevole. Certo, ti sferza il volto a folate, come un invisibile scudiscio. Ma ti dona, in cambio, un senso come di pulizia. Sembra spazzare via molte scorie del presente…
E poi è veicolo di storie. Di echi e ricordi. Più che altro rimembranze…
Trieste. Un giorno di bora, tanti, troppi anni fa. Bora scura. Quella che soffia a più di 130/140 all’ora, e ghiaccia le strade, così che stenti a stare in piedi. E devi mettere i “ranzini” sotto le scarpe. E reggerti alle corde, ove vi sono.
Ero all’università. Quella vecchia, che si trova vicino alle rive, subito dopo la Vecia Cavana, dedalo di viuzze che, a quel tempo, vedevano osterie e piccole caffetterie alternarsi con botteghe di libri vecchi. Ove, per inciso, ero solito andare a caccia di tesori dimenticati, libri introvabili da mezzo secolo, come “Dante Vivo” di Papini. O la seconda edizione delle”Odi Navale” di D’Annunzio, edita da Treves. Con elaborata copertina liberty, rossa e nera su sfondo vagamente avorio…

Ero andato ad una lezione nonostante il tempaccio. O meglio, proprio a causa di quello. Perché stavo girellando per il quartiere vecchio. E il maltempo mi aveva sorpreso. Il rifugio più vicino era, appunto, la Facoltà. E così, in una Auletta buia, mi ero sorbito, in solitaria, una lunga ora e rotti di lezione sulla Dea di Taranto. Con un professore, M. B., che era un eccentrico. Capace di far lezione ad un unico studente, in quella giornataccia, in un istituto per il resto deserto… Come tutta la facoltà…
E la Dea di Taranto, detto per inciso, rappresenta con tutta probabilità Persefone. La Dea della melagrana. Come quella di cui ho mangiato dodici chicchi allo scoccare dell’ultima mezzanotte… C’entra ben poco, lo so.. ma è anche questa una memoria che ritorna. Se vogliamo un racconto del Vento…
Quando, però, fu il momento di uscire, di lasciare l’ampio atrio freddo e buio della Facoltà, non riuscivo ad attraversare la soglia. Il grande portone metallico si apriva. Ed era un portone pesante, plumbeo, in pretto stile asburgico. La stessa pesantezza, la stessa tinta cupa che domina nella Cripta dei Cappuccini, come la vidi, proprio in quegli anni, visitando per la prima volta Vienna. Ancora fresca la memoria della lettura del grande romanzo di Josef Roth…
Il portone, dunque, si apriva verso l’interno, anche se con un certo sforzo. Ma di varcare la soglia non se ne parlava. Una mano invisibile mi bloccava sulla soglia. Come un muro. Fatto di vento.
La sensazione era strana. Certo, il vento con quella forza… però erano anni di appassionate letture… Meyrink, Hoffmansthall, Poe… E di conversazioni ancor più appassionanti, a mezza voce, in un Caffè, o meglio ancora nella penombra solitaria dell’Archivio storico – diplomatico della vecchia Biblioteca, vicino ai giardini di Piazza Hortis… Che poi è Hortis, con la h, Attilio, che fu patriota, politico e scrittore, nonché, proprio lì, bibliotecario. Nulla a che vedere con l’immaginario Ortis foscoliano…
Discussioni e letture. La suggestione di mondi che sembravano intravisti al di là di misteriose porte…
E allora quel muro di vento fu come la sensazione di qualcuno, o più di qualcuno, invisibili spiriti della tempesta e del profondo inverno, che si prendevano gioco di me. Che volevano, in qualche modo, imprigionarmi… Una prigione che, a ben vedere, sarebbe stata probabilmente molto più ariosa di quelle in cui poi mi ha rinserrato l’esistenza…

Poi, la Bora, come si dice, si prese un riposo. E uscii, solo per rifugiarmi nella vecchia caffetteria lì appresso. Dove, dietro al bancone, faceva ancora bella mostra il ritratto di Francesco Giuseppe…
Ricordi, frammenti che mi ha raccontato il vento freddo di questo primo di Gennaio.
Sono rientrato, dopo un po ‘. Infreddolito, ma contento…