Il Maestro Alberto Cipolla, che all’ultimo Festival di Sanremo ha diretto l’orchestra in occasione dell’esibizione del gruppo torinese Ernesto in via di Gioia, ha recentemente pubblicato sul suo profilo social una stimolante riflessione sull’educazione musicale in Italia, in margine alla scomparsa di Ennio Morricone.
“Sono contento – afferma Cipolla – che […] moltissimi esponenti della politica abbiano speso parole di grandissima stima artistica per la dipartita di Morricone, così come hanno fatto esponenti di rilievo in comparti culturali statali. […] È strano, dunque, che nonostante l’apprezzamento generale per la figura del Maestro e il di lui corpus artistico, nessuno di chi ha potere per fare qualcosa abbia mosso più di una simbolica falangina per migliorare sensibilmente lo stato dell’insegnamento della musica in Italia, passando dal totale ignorare la storia della musica nei programmi delle scuole superiori che non siano ad indirizzo musicale, all’ignorare un minimo di teoria “for dummies” che vada oltre il «la nota bianca vale due quarti, quella nera uno, ora prendiamo la tastierina e suoniamo» che viene fatto nelle scuole medie (lasciando ai singoli docenti o ai singoli istituti un po’ più illuminati il compito di, eventualmente, dare un quid in più); passando per i Conservatori con programmi ancora chi più chi meno legati a Regii Decreti degli anni ’30, molti dei quali tristemente templi della disorganizzazione in cui nuotano agilmente maestri ormai stanchi e senza più voglia (quando non in malafede), passando per commissioni e gare in cui spesso non vige la trasparenza ma il favoritismo e “l’amicizia politica”, per l’organizzazione di eventi in cui la frusta dalla parte del manico ce l’ha un buon management e un buon ufficio stampa. Passando per le storie sentite di gente che già lavora da anni nell’ambito delle colonne sonore, ed è già un nome premiato, costretto a frequentare gli aperitivi girando con il proprio cd in borsa per ottenere delle commissioni”.
Detto ciò, Cipolla sposta la sua attenzione sulla scarsa attenzione che oggi si presta agli operatori musicali, diversamente a quanto succedeva in passato e ancora succede in quelle parti del mondo in cui il lavoro sotterraneo di arrangiatori e produttori viene tenuto in maggiore considerazione.
“Anche pensando – continua il Maestro carmagnolese – a quanto siano stati celebrati ieri i lavori di Morricone nel pop e i suoi geniali arrangiamenti in cui si vedeva la mano di un compositore esperto e che bello è quando si mescola con la “musica leggera”; ebbene è strano pensare che però nel 2020 non gliene freghi a nessuno di rinnovare quella figura (quella dell’arrangiatore, che – occhio – non è il produttore, è un’altra cosa) e di trasferirla nel tempo attuale. O quantomeno di curarsi di avere produttori altamente formati bene anche in quel campo. O […] formare in quel senso le persone che lavorano/lavoreranno come produttori.
Una mente in più, un passaggio in più nel processo creativo è un costo e un rischio. A volte, forse, pure un fastidio se si hanno un po’ di manie di protagonismo”.
E conclude: “E non si rischia più nel cercare di migliorare un sistema culturale e di insegnamento della musica (della sua grammatica e della sua storia) perché, anche qui, troppo lavoro da fare e nessuno che pare intenzionato a prendersi la pagliuzza corta. (Salvo poi sbavare, giustamente, guardando l’insegnamento della musica oltreoceano senza però pensare, almeno in questo campo, di imitarli e provare a raggiungerli nell’eccellenza e nel riconoscimento internazionale. Roba che non ho sentito quest’argomentazione imbracciata manco – addirittura – dai peggio sovranisti che invece ce l’avrebbero già lì bella e pronta se volessero.) […] Non dico che si è ipocriti a far parte di queste categorie e poi piangere la morte di Morricone condividendo, rimpiangendoli, capolavori anni ’60; dico però che “ah, chissà quando rivedremo dei nuovi Morricone” è di facile risposta: quasi sicuramente ci sono già, sicuramente ci sarebbero. Se non cambiamo nulla, però, non ne vedremo i lavori né tra 10, 50 o 100 anni”.
Una saggia riflessione alla quale ci è sembrato giusto dare rilievo perché non rimanesse lo sfogo di un giovane – per quanto importante – addetto ai lavori.
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