Le farfalle della ginnastica ritmica italiana: dalle stelle dei trionfi mondiali alle stalle delle polemiche giornalistiche e delle indagini sportive e giudiziarie. Giusto così, questa italietta non merita campioni e successi. Ma, soprattutto, questa italietta delle mamme apprensive e dei papà isterici non merita proprio di avere squadre, in nessuno sport, che partecipino a competizioni internazionali.
Perché sono le famiglie le prime responsabili della situazione. Guai se il pupo – maschio o femmina è indifferente – non è messo in prima squadra, se è una riserva, se non scende in campo, in pedana, sul parquet. A calcio si gioca in 11 contro 11? È una vergogna – secondo i genitori tifosi politicamente corretti – perché se il proprio figlio è scarso, deve giocare comunque, a costo di schierare 25 calciatori per squadra. E se scia a spazzaneve, ha il diritto di essere inserito nella nazionale di sci.
Già è una scemenza assoluta se si tratta di una partitella tra amici, ma è semplicemente assurda se si passa all’agonismo. Perché se si fa sport per dimagrire, va bene tutto. Ma se si accetta la logica della competizione, bisogna seguire le regole. E, se si vuole vincere, occorre schierare i migliori. Alle Olimpiadi, ai Mondiali, al torneo del bar ed alla sfida scapoli-ammogliati.
E per essere i migliori – od i meno peggiori, man mano che si scende di livello – servono sacrifici. Duri sacrifici, per chi punta alle Olimpiadi, la rinuncia ad un sontuoso aperitivo per chi deve giocare la partitella serale contro i colleghi di ufficio.
Invece l’Italia degli sportivi da divano si indigna perché una allenatrice (che ha vinto tutto) maltrattava le atlete che non dimagrivano e che non si mettevano nelle condizioni ideali per affrontare sfide mondiali. Chiunque abbia fatto un minimo di attività agonistica, anche ad infimo livello ed in qualsiasi disciplina, sa perfettamente che gli allenatori non sono maggiordomi in guanti bianchi che ti invitano gentilmente a correre di più, a saltare di più, a sollevare più pesi, a colpire con maggior forza e precisione. In caso contrario restavi a guardare seduto in panchina o in tribuna. Citius altius fortius: è il motto olimpico, non di una sala delle torture. E non basta non aver studiato latino per fingere di non capire il senso della frase. Più veloce, più alto, più forte.
Un motto certo “non inclusivo” in un’italietta che lo sostituirebbe con “va bene tutto, purché non ci si debba impegnare troppo”. Per fortuna sono lontani i tempi degli allenamenti di Pietro Mennea. Adesso Carlo Vittori verrebbe indagato e condannato per torture. Ed in galera troverebbe il paron Nereo Rocco, troverebbe Pietrangeli, troverebbe tutti gli allenatori vincenti. E che, per arrivare sul tetto del mondo, non hanno avuto timore di scontrarsi con aspiranti campioni che non si impegnavano adeguatamente per essere i più veloci, per andare più in alto, per colpire più forte. Per essere i migliori.