Vi sono città che restano nella memoria. Incardinate, come le tappe di un viaggio.
Sono, a ben vedere, legate a momenti particolari della Vita. Non importa, però, quanto a lungo vi sì sia vissuto. Conta, invece, l’intensità con cui si è vissuto quel luogo…
“Vorrei che facessimo un viaggio insieme, un giorno. Non uno dei soliti viaggi. Vorrei che mi portassi in un luogo, una città che hai amato. E che ancora ami….”
Ci penso. Città in cui sono vissuto. O meglio, nelle quali sono stato portato dalla Vita. O dal destino, se ci credete.
La mia città natale. Che è Mestre, non Venezia, come pure risulta all’anagrafe. Perché, la cosiddetta Terraferma, da un punto di vista burocratico, è solo una propaggine, o meglio una frazione della città lagunare. Così volle il conte Volpi di Misurata, negli anni ’20 dello scorso secolo. Per dare impulso allo sviluppo della nascente zona industriale.
Marghera. Ovvero “ghera il mar” , c’era il mare. E un’area della laguna era stata interrata, per costruire fabbriche. Così l’antico borgo di Mestre, che pure aveva una sua storia, ed era sorto dagli accampamenti invernali di Cesare, ed era divenuto un Castello dei Da Romano, signori ghibellini della Marca, perse la sua autonomia. Divenne frazione di Venezia. E tale è rimasta.
Io, però, non mi sono mai sentito veneziano. Mestrino si. Perché è a Mestre che si lega la mia memoria. Alla Piazza, grande e tutta cinta di porticati. Dove passeggiavamo la sera, tutte le sere, anche con la pioggia o la, più rara, neve. In ogni stagione. Con i locali di ritrovo. Lo Sport, soprattutto, e il Buco, i Veterani, la gelateria Fontanella, l’Operaio, che apriva ad ore antelucane proprio per gli operai che lì davanti prendevano i filobus per Marghera….e bevevano il caffè, o più facilmente in inverno, la china calda… E poi lo storico Giaconuzzi, più raffinato. Con delle meravigliose tartine al granchio russo…. E poi Viale Garibaldi, dove ho vissuto per tanti anni. E via Piave, dove stavano i miei nonni. Una strada di villette e giardini, che portava in stazione. Lì si andava a mangiare il pesce da Bepi Venessian. E soprattutto al Moro, per il filetto alla pietra e il carello di formaggi…
Vi sono tornato pochi mesi fa. I locali della Piazza sono più eleganti. Ma non sono più gli stessi. Lo Sport ha chiuso. L’Operaio sostituito da un negozio di abbigliamento.
Il Viale è, ormai, un deserto. Privo di luci, di negozi. E via Piave una Casbah….non mi sono più ritrovato. Ormai, ero un estraneo.
Poi, c’è Trieste. La città dei miei studi universitari. Vorrei portarti lì, dico. A vedere i vecchi caffè storici. Il Tergesteo, Gli Specchi in Piazza Unità. Soprattutto il San Marco, ancora soffuso di un’atmosfera antica. Luogo di infinite discussioni, ritrovo di filosofi eccentrici. E di maghi e occultisti.
E vorrei portarti alla Forst. A mangiare gli gnocchi con le prugne. E un piatto di prosciutto tagliato a coltello con formaggio liptauer, paprica, cetriolini, pane nero. E birra naturalmente.
E vorrei passeggiare sui moli. Meglio se vi è vento forte. No…non proprio Bora, ma almeno un Borino, che spira a quaranta all’ora. E guardare il mare mosso nella sera. Ricordando certe pagine di Svevo, da Senilità soprattutto. E le poesie di Saba.
E andare in Carso. Passeggiare nei colori autunnali, un vero capolavoro impressionista. E sostare in qualche gostilna, le antiche osterie carsoline. Ti racconteri di Slataper, di quel “Il mio Carso”, che resta, per me, uno dei libri più evocativi della giovinezza.
Chissà perché, poi, mi vengono in mente altri luoghi. Vissuti in modo molto più…fugace. San Vito di Cadore, per quarant’anni meta estiva…la cerchia delle Dolomiti nel tramonto colore di rosa. E, all’alba, Monti Pallidi. Vorrei andare sulla riva del Boite, il torrente. E ascoltare, in silenzio, il suo canto tra i massi…
E vorrei… tornare a Vienna, dopo tanti anni. Da qui, dove vivo ora, il viaggio è breve. E Vienna, per me, è un luogo magico per eccellenza. Il Ring, la Pasticceria dell’hotel Sacher, il ristorantino ungherese dietro Santo Stefano… chissà se c’è ancora… serviva una zuppa di goulash favolosa, in un pentolino di rame, sospeso su un piccolo fornello, perché mai si freddasse.
Però Vienna è ben altro. Memorie letterarie. Musil, Trakl, Roth che ne è stato il narratore. E tanti, troppi altri.
E il dedalo di viuzze nel Centro, dove senti ancora l’eco di vecchi valzer. Memorie dì una civiltà elegante, forse antiquata. Ma con un senso del bello …e, poi, è città di memorie magiche anch’essa. Rudolf Steiner soprattutto…ma anche altri. Anche Meyrink, che pure era di Praga.
E mi viene, inevitabilmente, in mente Firenze. Quante volte mi sono aggirato, incantato, nei vicoli fra il Duomo e Piazza della Signoria. E mi sono fermato là, dove ci sono le Case degli Alighieri e quelle dei Portinari. E ho fantasticato su Dante e Beatrice. E a San Michele in Orto, a inseguire la memoria di Vanna. La Donna cruel, amata e cantata, con accenti dolorosi, da Guido Cavalcanti.
E poi Piazza di Santa Croce. Le sepolture dei Grandi evocate dal Foscolo. Con versi che, a furia di insegnarli con furia, so ormai a memoria… E la Cappella del Brunelleschi, che dà sul vecchio chiostro, dove un Dante ragazzino apprese i rudimenti del Trivio. Grammatica, Dialettica, Retorica…
E poi andate alla Trattoria dei Pazzi, là, all’ angolo della Piazza. A mangiare la cucina fiorentina autentica. La pappa col pomodoro, la ribollita…e chiudere con lo zuccotto. Ti piacerà, sai?
Ride. Felice. Mi sembra quasi di sentire battere le mani. Poi…
“Ma non nomini Roma… eppure ci hai vissuto per tanti anni. Fino a poco tempo fa …”
Faccio silenzio.
Sai, io ho vissuto in una città che chiamano così. Ma non era davvero … Roma. Era altro. Roma, quella vera, è una memoria lontana. Delle mie visite giovanili. Di incontri. Fondamentali per la mia vita. Ma poi…non vi ho mai veramente vssuto. Solo abitato, per molti, forse troppi, anni.
Fa silenzio….
“Vienna allora. E Trieste.”
Ridiamo.