Giuseppe Prezzolini sosteneva che la coerenza è l’ultima virtù degli stupidi. E se lo diceva lui almeno un po’ di ragione doveva pur averla. Tuttavia sembra che, nel panorama politico di casa nostra, la massima del grande polemista sia presa un po’ troppo alla lettera.
Quando nel 1994 Gianfranco Fini decretò la nascita di Alleanza Nazionale, la maggior parte dei vecchi militanti rimasero quantomeno perplessi, malgrado la vittoria elettorale che portò per la prima volta esponenti missini al potere (si fa per dire…) in quello che venne chiamato il Polo del Buon Governo. Ma con la sciagurata “svolta di Fiuggi”, consumata nel gennaio dell’anno successivo, una parte della vecchia classe dirigente se ne andò sbattendo la porta in quanto non si sentiva a proprio agio in compagnia di personaggi quali Gustavo Selva, Publio Fiori, il principe Ruspoli e l’ex comandante della Guardia di Finanza Ramponi, nonché di uno stuolo di ex democristiani che erano rimasti senza un partito dopo Tangentopoli.
Tuttavia, i vecchi militanti, tra i quali sopravvivevano alcuni reduci della Repubblica Sociale Italiana, non abbandonarono il nuovo partito. Lo percepivano comunque come casa loro, anche se si stava progressivamente allontanando dagli ideali nei quali avevano sempre creduto, in nome di una non meglio specificata svolta conservatrice. Principi come il corporativismo, la socializzazione, l’europeismo politico finivano messi da parte, e al loro posto si affermavano concetti legati al liberalismo economico e politico che stridevano con le idee che l’MSI aveva sempre propugnato.
Tuttavia in molti ingoiarono il rospo e restarono. E si trattava in gran parte di attivisti o di semplici iscritti, non solo della classe dirigente. E restarono anche quando, nel 2009, An si sciolse nel Popolo delle Libertà. Speravano che Berlusconi, prima o poi, si sarebbe fatto da parte e la struttura della vecchia Alleanza Nazionale si sarebbe sostituita alla componente di Forza Italia. Le cose, poi, andarono diversamente, come tutti sanno. Ma quei folli che credevano ancora nella coerenza confluirono non senza una buona quantità di entusiasmo nel nuovo partito Fratelli d’Italia.
Furono imbecilli, come sosteneva Prezzolini, o privi di fantasia? Può darsi. Ma forse, e più semplicemente, restarono nel solco della destra storica italiana perché per loro la coerenza era sinonimo di fedeltà. Fedeltà a un gruppo di persone con le quali si era percorso un lunghissimo tratto di strada: con i quali si era stati in disaccordo, con i quali si era litigato, ma che restavano comunque quelli al fianco dei quali si erano combattute mille battaglie, quasi tutte perse, mentre qualcuna era stata sì vinta ma male.
E ora che si profila una vittoria vera, forse la prima grande vittoria da che è nata la Repubblica (non il quotidiano, ça va sans dire…), non ci si può certo aspettare che coloro che hanno aspettato questo momento da decenni si facciano da parte solo perché non sono del tutto d’accordo con la linea del partito. Ci sarà tempo per le critiche, per i distinguo e per le obiezioni.
Ma per un mesetto abbondante lasciateli almeno sognare.