Tra mascherine, chiusure e riaperture, dispute sulla scomparsa o meno del coronavirus, si era un po’ persa di vista la Task Force diretta da Vittorio Colao, l’uomo di Bilderberg e Mattarella, ingaggiato per risolvere tutti i mali dell’economia italiana stremata dalla pandemia.
Nei giorni scorsi sulla stampa specializzata sono uscite alcune anticipazioni su un presunto “Piano Shock” che sarà presto portato all’approvazione del Governo.
L’intenzione sarebbe quella di creare un “fondo per lo sviluppo” di circa 200 miliardi di Euro garantito dalle partecipazioni statali e dalle riserve auree della Banca d’Italia, gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti, le cui quote saranno piazzate principalmente a investitori istituzionali. L’intenzione sarebbe quella di investire i fondi in aziende “innovative” all’interno del sistema “Industria 4.0”. Contestualmente dovrebbe essere varata una riforma della legge sui fallimenti. E questo ha fatto rizzare le antenne a più di un commentatore.
È stato osservato che questo piano porterebbe allo smantellamento del sistema industriale italiano, non soltanto pubblico, e alla sua svendita ai prezzi delle patate non ai maggiori gruppi industriali italiani – che in questo momento soffrono di una profonda crisi di liquidità – ma a quelli europei che godono, al contrario di incentivi statali a fondo perduto e di tagli fiscali.
Se mai il governo e la sua maggioranza accettassero le proposte di Colao e della sua Task Force, l’Italia perderebbe in un colpo solo i residui gioielli di famiglia, dall’Ansaldo a Fincantieri, nonché la sovranità sulle proprie riserve auree.
Conseguentemente verrebbero penalizzate le piccole e medie imprese che rappresentano l’ossatura economica del nostro paese, in quanto il piano prevedrebbe fusioni più o meno obbligate pena l’esclusione dagli aiuti statali.
Come ha commentato Paolo Annoni su Sussidiario.net “Oggi un’azienda “tradizionale” ha bisogno come in Germania e in Francia di risorse a fondo perduto e tagli fiscali che stimolino la voglia di fare impresa. Non c’è bisogno che sia lo Stato a decidere chi deve morire e chi, pochi, sopravvivere. Questo avviene in Europa anche in Stati che sono messi poco meglio di noi in termini di finanza pubblica, o forse peggio, come la Francia. Per il grosso del sistema industriale italiano l’unico approdo è la procedura fallimentare o la cessione. A chi? Alle imprese italiane moribonde dalla crisi e senza soldi? Ovviamente a quelle salvate dai rispettivi Stati a forza di aiuti pubblici. Oltretutto con procedure concorsuali da terminare in tempi brevissimi”.
Peraltro non si si ha la più pallida idea di chi sarà a beneficiare dei fondi che saranno ricavati da questa procedura.
Il rischio più che concreto è che si proceda con interventi “a pioggia”, come è già successo con gli interventi recenti, per finanziare i quali si darà fondo alle ultime – scarse – risorse del nostro Stato.
Cioè quelle di tutti i cittadini.
1 commento
Mi sa che bisogna stabilire che esiste un ramo di malattia mentale fino ad oggi non identificata e che ha fatto danni come minimo da quando si è stabilito che entità non democratiche potevano fare mercato dentro mercati nei quali si usano usanze umane contraddittorie, sindacali ecc.