L’insediamento alla presidenza della Colombia di Gustavo Petro, primo esponente di sinistra a salire alla massima carica istituzionale del Paese sudamericano, ha comportato immediatamente un deciso cambio di rotta riguardo alle posizioni assunte dal suo predecessore Ivan Duque con i movimenti guerriglieri ancora attivi in alcune zone della nazione.
Ex guerrigliero anch’egli, con un passato nella formazione dell’M-19, Petro ha accolto le aperture dell’Esercito di liberazione nazionale per riaprire i negoziati di pace troncati dal precedente esecutivo.
A fare da garante sarà il Venezuela di Nicolas Maduro verso il quale Petro ha disposto la riapertura dei confini dopo le fasi delicate vissute negli ultimi anni. Accompagnatori del processo di pace saranno, invece, Cuba e Norvegia che si distinsero già per aver portato alla conclusione i negoziati con l’altra principale formazione guerrigliera di sinistra della Colombia, quella delle Farc, nel 2016 insieme all’allora presidente Manuel Santos, poi insignito in quello stesso anno del premio Nobel per la Pace.
Al momento i delegati del governo e l’Eln, per mano dei suoi rappresentanti Garcia e Pablo Beltran, hanno sottoscritto una road-map tesa a delineare i prossimi passaggi da discutere e gli obiettivi da raggiungere.
In una recente intervista rilasciata da Antonio Garcia, massimo dirigente dell’Eln, è emersa la volontà di porre fine alla guerra civile più lunga del mondo. “La pace- ha affermato Garcia- non è solo una questione militare, ma deve tener conto dell’equità e della giustizia sociale, della democratizzazione e del rispetto dei diritti umani. Altrimenti, se la pace si limita alla smobilitazione, si chiama pacificazione”.
Un chiaro monito a chi ha disatteso le clausole presenti negli accordi con le Farc per riattizzare l’odio politico e sociale negli ultimi anni ma è stato sconfitto dal voto popolare.