Va bene, c’è un governo rossissimo: Salvini, che faceva tanto il ganassa, si è dimostrato un lelotto. Inutile piangere sul latte versato: evocare le piaghe d’Egitto per questo povero Stivale non serve a nulla e, soprattutto, non ha senso.
Ce la siamo cavata in altre ambasce e ce la caveremo anche stavolta: siamo l’Italia, mica il Burkina-Faso!
Proviamo, invece, per una volta, a pensare un pochino più in grande: a dimenticarci Mitraglietta e le sue maratone e a concentrarci sulla Marcialonga che ci aspetta. Tra un anno, due, tre, toccherà a noi prendere le redini della carretta: più tempo passiamo a stracciarci le vesti, meno ce ne rimane per prepararci alla bisogna. Ed è una bisogna mica da ridere.
Leggo, qua e là, commenti sdegnati per la faccia di un ministro, il curriculum di un altro ministro, l’incoerenza di un terzo ministro: e cosa dovevamo aspettarci? Che il partito di Toninelli esprimesse premi Nobel? Che il PD nominasse Galahad e spedisse Boccia a cercare il Graal? E’ evidente che questa congrega di arruffapopoli e voltagabbana, di farisei e di pubblicani, avrebbe espresso un governo a propria immagine e somiglianza: nè avrebbe potuto essere diversamente.
Ma noi, che alziamo alti lai per la colossale palpata politica che abbiamo subito, siamo poi tanto diversi? Abbiamo dimostrato cultura, civiltà e competenza? Tutti tutti? Ma non scherziamo: le muste indigeribili abbondano da entrambi i lati del bastione. Qui ci vuole un vero rinascimento: una clamorosa sterzata mentale.
Bisogna smetterla di vivere di dispettucci, di smorfiette, di linguacce all’avversario e cominciare a lavorare in casa nostra: ad affilare le armi e le menti, a preparare una nuova classe dirigente, che, all’occorrenza, sia operativa in tre ore. Perché l’Italia è come un paese terremotato: ha bisogno di interventi lucidi, competenti, immediati. Solo che, invece della Protezione Civile, serve una Protezione Politica: una task force che sappia già dove andare e come muoversi, tanto in televisione quanto nei dicasteri.
E questo non nasce dall’oggi al domani: domani, anzi, sarebbe già troppo tardi. Basta con le cazzate: il Papeete di qua e Bibbiano di là. Questa è una guerra, non un videogioco. Questo posso dire ai delusi, agli arrabbiati e a quelli che sui delusi e sugli arrabbiati costruiscono la propria busta paga: se si vuole far bene occorre studiare, sudare, faticare.
Bisogna progettare un’Italia nuova: non basta dire che la si desidera tanto. La prima tappa è creare una squadra coesa, capace, programmata per vincere. La seconda è comunicare all’esterno la propria idea di Italia, il proprio progetto; ma non di qui a sei mesi: di qui a dieci anni. La terza è scendere in campo con una logistica efficace: osservazione, comunicazione, pianificazione. Poi, si governa. Altrimenti, questo Paese vivrà in una perenne alternanza di cialtroni identitari e di cialtroni globalisti, di fessi di destra e di fessi di sinistra. Senza mai comprendere che il problema non sono la destra e la sinistra, ma sono i fessi e i cialtroni. Amen.