Di Maurizio Blini Electomagazine ha recentemente pubblicato la recensione del suo ultimo libro, “Torino, la chiusura del cerchio. Una nuova indagine di Vivaldi e Meucci”. Approfondiamo il tema con una intervista all’autore.
È corretto dire che nel tuo nuovo romanzo il noir si amalgama con altri generi letterari, come il romanzo epistolare, nella nuova versione dell’email?
Il mondo cambia, ma l’aspetto intimo dell’epistola, in qualche modo rimane, nascosto tra le righe di una mail, di un sms, di un qualsiasi messaggio spedito in rete, quasi come una bottiglia in mezzo al mare. L’antico fascino della corrispondenza varca i confini del tempo, immortale, romantico, inappagabile.
È giusto ritenere che in questo romanzo, le canzoni e il mare, abbiano lo stesso ruolo della madeleine, in “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust, ossia di risvegliare ricordi sepolti o rimossi?
La musica, il mare, ma anche altri istanti magici riescono a far riemergere improvvisamente dal passato ricordi e storie. Le evocano quasi, in una sorta di magico risveglio dal torpore del tempo, che in realtà non è affatto perduto, ma per l’appunto, ritrovato, proprio in quei frangenti. Il nostro tornare al passato ci pone però spesso a doverci confrontare con una contestualizzazione che forse non sempre diamo per scontata. E allora sorgono domande, dubbi. A volte abbiamo persino la capacità di modificarlo il nostro passato, seppur impercettibilmente, chissà. I ricordi, come quelli che la memoria emotiva ci ritrasmette, assumono vitalità, forza e soggettività. Ma restano pur sempre ricordi, emozioni, sensazioni involontarie, un po’ come sogni ad occhi aperti. Tutto appare terribilmente reale come un sapore, un profumo, una musica, appunto. Alla fine si aprono gli occhi immersi nello stupore. E anche quella appare come una magia.
È vero che nel romanzo esiste una forte vena dostoeskijana, in particolare per quanto riguarda il rapporto padre e figlio?
Sì, certo. Il contrasto che ho introdotto nel romanzo induce alcuni miei personaggi, nello specifico Mario e Piero, rispettivamente padre e figlio, a vivere una conflittualità profonda quanto inaspettata. Mario, figlio del suo tempo, è portatore di una grande tensione interiore contaminata da un idealismo puro, dal convincimento che alcuni valori e principi possano certamente essere messi in discussione ma mai abbattuti. Per lui non è concepibile uno scontro generazionale di queste proporzioni. Lo scontro, la rabbia, la ribellione che ne conseguiranno rappresentano anch’esse una sorta di chiusura del cerchio, una chiave di lettura nuova, diversa, una conclusione amara da digerire.
È giusto pensare che nel romanzo, tu abbia utilizzato in profondità il flusso di coscienza di Joyce?
Nei miei romanzi, negli ultimi quanto meno, ho in parte approfondito ancor più il tema dei conflitti interiori, delle contraddizioni e delle emozioni forti che spesso ci dirigono prepotentemente in luoghi lontani e ameni. Dentro di noi abbiamo l’infinito, a volte ne siamo consapevoli, a volte meno. Una cosa è certa, questa energia, conscia o inconscia può rappresentare un’arma a doppio taglio, pertanto ho scelto di considerarla come una parte attiva e assolutamente importante da inserire nel tessuto connettivo narrativo. Il confrontarsi con questa forza diventa così una sorta di dialogo con se stessi, con il proprio intimo. Ci si interroga, discute, analizzano le cose. Con se stessi. Nell’intimo, i pensieri prendono forma e divengono parole. Assumendo la forma di monologhi profondi.
È vero che nel romanzo, attraverso il rapporto padre e figlio, metti in luce la degenerazione contemporanea dei rapporti familiari, dove i legami di affetto e solidarietà cedono il posto a una mentalità egoista, egocentrica, utilitaristica, fondata solo sul guadagno, per cui tutto ha un prezzo e niente ha valore, facendo risaltare il noir, come cartina di tornasole della società?
Sì, il deterioramento dei rapporti familiari, sociali, umani, figli anch’essi del nostro tempo. La società muta, inarrestabile, lasciando però morti e feriti sul campo. Per alcuni è il prezzo da pagare, per altri, come il sottoscritto una degenerazione dei valori e principi. La storia di Mario, filo conduttore di tutto il romanzo mi è costata una cerata fatica emotiva, non lo nascondo. Ma ci ho creduto, ho voluto raccontarla, descriverla con forza. Un aspetto che, a prescindere dal piano narrativo giallistico, introduce nuova linfa al romanzo stesso, con alternative emozionali in grado di solleticare alcune sensibilità, sollevare nuovi interrogativi, e diventare popolare, sociale, quasi una sorta di manifesto della quarta età. Un modo come un altro per dire anche dell’altro.
Il ritorno di Vivaldi e Meucci è da considerarsi una tantum o pone le basi di un nuovo ciclo?
Ovviamente pone le basi di un nuovo ciclo. La decisione di farli invecchiare con me, di farli affrontare in tutti questi anni, sedici, diciassette, una serie di contraddizioni anche intime oltre che professionali, li ha portati al fatidico punto di rottura. Era inevitabile una crisi alla loro età. Sono umani. Ci voleva una pausa, una sorta di elaborazione del lutto, un riposizionamento. Ma loro sono degli investigatori, hanno fatto questo per tutta la loro vita. Che altro potrebbero inventarsi?