Questione di stile. I calciatori italiani, strapagati, si inginocchieranno non per ricordare l’italiano assassinato in Uruguay da un poliziotto che gli ha messo un ginocchio sul collo. E neppure per un afroamericano di cui a loro non frega nulla. Ufficialmente per far contenti i calciatori del Belgio, in realtà per non farsi criticare dagli inutili commentatori Rai.
Questione di stile. Quello che non manca a Riccardo Muti, uno dei più grandi direttori d’orchestra del mondo. Anzi, direttor* d’orchestra. Già al concerto di Capodanno, da Vienna, aveva scandalizzato i fans della banda Speranza, non indossando la mascherina d’ordinanza. Essendo tutti tamponati, lui e l’orchestra, non c’era alcun motivo, se non quello di dimostrare la propria ubbidienza al pensiero unico obbligatorio.
Ma ora Muti ha infranto ogni regola del politicamente corretto, del giornalismo asservito. In una lunga intervista ha spaziato sugli argomenti più diversi, ma sempre infrangendo le regole del servilismo dell’informazione di regime.
Gli immigrati? Devono rispettare le regole, devono comportarsi onestamente. Oddio, senza neppure le giustificazioni per gli eventuali crimini?
La musica? Meglio i musicisti preparati, che hanno studiato e continuano a farlo, piuttosto di quelli che non sanno leggere uno spartito ma sono sostenuti dai media.
La scuola? Deve essere seria.
La politica musicale italiana? Troppi costi inutili, troppe chiusure, pochi sostegni ai giovani meritevoli.
Il Papa? “Ho ammirato molto papa Ratzinger”.
Il lockdown? “È stato orribile, la disumanizzazione si è fatta ancora più profonda. La mancanza di rapporti umani è terrificante”.
C’è un eccesso di politicamente corretto anche nella musica? “Con il Metoo, Da Ponte e Mozart finirebbero in galera”. La scelta dei musicisti? “Va fatta in base al valore e al talento”, non per mantenere l’equilibrio “tra uomini, donne, colori di pelle diversi, transgender”.
Muti prosegue ancora. Ma è sufficiente questo per capire come mai il grande direttore d’orchestra non sia stato nominato senatore a vita.