Dopo essersi goduta la notorietà internazionale grazie al feuilletton estivo su vicende di corna nella sedicente Torino bene, la capitale subalpina si interroga sul proprio futuro. E lo fa fingendo di ignorare la realtà attuale. Ha iniziato l’architetto Carlo Ratti, torinese ma docente al Politecnico di Milano dopo una prestigiosa carriera al Mit di Boston. Per lui l’unica possibilità per Torino consiste in una sorta di fusione con Milano che l’architetto considera come l’unica città davvero internazionale in Italia.
Dunque un’aggregazione per la nascita di una megalopoli divisa da 45 minuti di treno. Ma ne occorrono molti di più se, a Torino, non si abita nei pressi delle stazioni o se, chi arriva da Milano, deve raggiungere per lavoro una sede non centrale.
Sul fronte opposto è schierato Marco Bussone, presidente dell’Uncem. Per lui Torino dovrebbe ritagliarsi un ruolo da capitale alpina, coinvolgendo Cuneo e Biella, ma anche Nizza e Lione.
In mezzo si porrebbe la proposta, di più lunga data, di Mino Giachino. Con Torino baricentrica all’interno di una grande area dell’intelligenza, da sviluppare intorno alla rete ferroviaria ad alta velocità. Dunque Milano, Genova, Torino e Lione.
Proposte che si potrebbero integrare. Nonostante le differenti posizioni politiche ed il curioso modo di comunicare di Giachino. Il problema, però, è un altro. E lo ha ben chiaro Bussone quando, di fatto, teme che un’alleanza con Milano vedrebbe Torino in una posizione di ancella. E neppure di preferita tra le ancelle, poiché Milano guarda con più attenzione verso Est.
Peccato che, poi, manchi un’analisi su questa preferenza orientale. Perché significherebbe ammettere che la classe dirigente torinese (pubblica e privata) è pessima, non all’altezza delle nuove sfide, non in grado di competere non solo con Milano ma neppure con veneti, emiliani e romagnoli.
Dunque niente megalopoli con Milano. Ma Bussone non spiega perché una simile classe dirigente dovrebbe avere un ruolo credibile in un accordo con Nizza e con Lione. O anche solo in un rapporto con Cuneo. Non è che a Lione siano più stupidi che a Milano. E lo stesso vale per la proposta di Giachino.
Prima di pensare ad un ruolo esterno di Torino occorre cambiare radicalmente la classe dirigente. In caso contrario l’unica internazionalizzazione credibile sarà quella delle corna in versione subalpina.