Berenice D’Este è autrice, attrice, scrittrice e con il libro “Condominio in scena” ha spiegato il rapporto tra testo e recitazione, tra regista e pubblico.
1- Com’è nata l’idea del libro?
Dopo aver pubblicato ”Rivelazioni di classe”, libro di testi teatrali per adolescenti, di cui uno classificatosi Primo al Premio biennale “Bardesono”, volli occuparmi anche di regia. Dopo varie esperienze in questo campo, iniziai a trasformare alcuni brani di autori, classici e contemporanei, in copioni per spettacoli. In questi frangenti mi capitò di ascoltare alcuni pareri imprecisi sul lavoro del regista, come pure su quello dell’attore, e così ho pensato di scrivere un libro su questo argomento, per mostrare, basandomi sulle mie esperienze, la verità, la realtà, del lavoro dell’uno e dell’altro.
2-È corretto dire che il libro prelude al coinvolgimento intellettuale ed emozionale di lettori e lettrici durante la rappresentazione?
“Condominio in scena” di sicuro mira a questo, cioè al coinvolgimento dell’attore nei confronti dello spettatore, e infatti ho spiegato che tocca per primo al regista lavorare sul testo per visualizzarne l’attuazione scenica, e poi, in un secondo momento, spetta all’attore destare l’attenzione del pubblico, con i movimenti scenici, con il tono di voce, con i segni facciali, con la postura, e altro. Il Teatro infatti, non è soltanto un luogo in cui entrare per divertirsi , ma un posto dove avviene la trasformazione della parola scritta sulla carta in parola vivente che agisce sul palco.
3-È giusto pensare al testo, sintesi di saggio e atto teatrale, come a una rielaborazione originale degli elementi migliori del teatro classico e contemporaneo calati nella realtà attuale, compiuta intersecando costruttivamente le professionalità di autrice e regista?
Il testo d’autore è figlio del pensiero di chi ha scritto, invece quello che si ottiene per la “messa in scena”, oltre a contenere gli elementi basilari teatrali, è frutto di due principi essenziali: Il rispetto per il messaggio che l’autore ha voluto esporre nelle sue pagine e la ricostruzione del regista che mette in primo piano la realtà scenica, visibile. Il cosiddetto “copione “, cioè ciò che deriva da tali operazioni, viene infine consegnato alla compagnia attoriale, non solo perché sia studiato a memoria, ma anche perché vengano interpretate le didascalie che sono i suggerimenti espressi dalla creatività e dall’abilità costruttrice del regista che tende a fare apparire ogni idea, ogni messaggio, ogni significato, come un essere in carne e ossa.
4-È vero che nel libro, è messo in luce dettagliatamente il ruolo del regista nell’allestimento teatrale, che di solito è messo in ombra?
Sì, ho voluto mettere in evidenza il lavoro del regista, figura per molto tempo tenuta in ombra, forse perché, non apparendo in scena, lo si pensava erroneamente senza importanza. Il regista invece, con un termine forse inappropriato ma che spiega bene, è, secondo me, da guardare con la stessa dignità che si attribuisce a una levatrice quando sta per portare alla luce una vita.
5- Lo scritto è finalizzato a evidenziare le modalità aperte e continuamente plasmabili in cui la parola è tradotta in azione?
Direi di sì. Mi sembra importante far sentire che mentre la parola sulla carta si rivolge semplicemente agli occhi del lettore, quella degli interpreti in teatro, invece, parla da essere vivente a tutti i sensi degli spettatori, ed entra, così fatta, nella loro sensibilità .
6-È vero che anche la figura dell’attore è analizzata in profondità, mettendo in luce il suo impegno nell’operare il transfert intellettuale e psicologico con il personaggio, superando l’immagine stereotipata dell’interprete che si limita a recitare battute a memoria?
Sì, l’attore in genere viene giudicato sempre e soltanto dalla sua riuscita sul palco, senza considerare che la sua bravura non è data soltanto dalla capacità di memorizzare, magari anche una parte lunga e difficile, ma soprattutto dal suo immedesimarsi nel personaggio che deve essere, e quindi nel dimenticare se stesso ed entrare nei panni di un’altra persona, diversa da sé. Infatti il momento di entrata in scena non è da vedere come l’inizio dello spettacolo, ma soprattutto del proposito dell’attore di deporre il proprio corpo per assumere quello del personaggio che gli è stato assegnato.
7-L’autrice e il regista hanno considerato lo spettatore come elemento dell’azione scenica e hanno lavorato per farlo entrare in relazione emotiva e dinamica con gli attori?
Sì, questo è sempre stato il mio intento, come autrice, attrice, e regista. In questo lavoro, io e Franco Abba, direttore artistico del Piccolo Teatro Comico di Torino, essendo dello stesso parere e dello stesso modo di sentire, abbiamo studiato insieme un modo per avvicinare lo spettatore a ciò che veniva ad accadere in ogni azione scenica. Ed è per questo che tale testo, all’inizio intitolato “Condominio 13 bis” e così inviato si è classificato finalista al Premio Nazionale di Firenze, ha poi mutato il titolo, oltre ad alcune battute e episodi. Io e il regista abbiamo scelto di porre l’accento di più sugli oggetti di scena, con l’intento di trasformare l’ambiente in una sorta di spazio da circo, al punto tale che i personaggi, pieni di paure e di luoghi comuni, risultassero quasi macchiettisti, non appena mettevano in mostra i loro modi di pensare e di agire.
8-È vero che il testo è stato elaborato in modo da esprimere la pluralità dei suoi contenuti, non limitandosi alla gestualità, ai movimenti, alla modulazione delle voci degli interpreti ma facendo risaltare anche la capacità evocativa e simbolica degli oggetti di scena e dei coni evocativi delle luci?
Certamente! Il regista non si occupa soltanto di esporre un fondale in un certo modo, o di correggere l’intonazione di voce di qualche interprete, ma deve trovare il nesso tra l’ambientazione dove si svolge il tutto, con il carattere dei personaggi di cui l’attore deve rivestirsi, con le luci e i suoni che intervengono per sottolineare qualche avvenimento reale o spettrale, e con il senso da dare agli oggetti di scena, che in questo caso identificano la personalità dei personaggi raccolti nell’atrio dello stabile dove vivono, a causa di un guasto dell’ascensore. Per esempio, la borsa enorme della Signora indica il pettegolezzo, i coriandoli del Signore servono per ironizzare, e il Komboloi del giovane greco mostra usanze e abitudini diverse dalle nostre.
9-È corretto dire che l’idea che emerge dalla lettura è che solo se si rendono gli spettatori, in questo caso nella veste di lettori, protagonisti di un’esperienza sensoriale profonda, sia possibile dare forma e accesso all’essenza dell’opera scritta e poi recitata?
Sì, il pubblico viene inteso, fin dai tempi della Grecia antica, come facente parte dello spettacolo, tanto è vero che anche a livello architettonico non c’è in un Teatro qualcosa che separi la platea, spazio dello spettatore, dal proscenio dove si muovono gli attori. Senza contare che ai nostri giorni, l’entrata in scena dell’attore non si effettua necessariamente dalle quinte, ma, a volte, avviene dall’atrio, o dalle poltrone dove tutti sono seduti. Questo perché occorre, in prima battuta, più che rispettare l’attualità dei tempi e delle mode, il saper creare una esperienza sensoriale, possibilmente profonda, che leghi la vitalità dell’opera e del copione definitivo alla sensibilità di chi assiste e partecipa emotivamente.