Massimo Fini aveva messo in evidenza un criterio politico più che condivisibile: che in democrazia l’unica prerogativa richiesta è di non avere competenze, così da avere ruoli intercambiabili e non interferire con le altre inesistenti competenze dei politici manovratori.
Che poi questo mezzo chiamato “democrazia” si sia trasformato in un fine beatificato, e che continui a provocare danni a volte irreparabili, sembra assolutamente secondario ai chierici del suffragio universale.
Questa pericolosa tendenza è scientificamente documentata da Jason Brennan, professore alla McDonough School of Business dell’Università di Georgetown, in un corposo saggio il cui titolo non lascia spazio ad alcun dubbio: Contro la democrazia.
Dalle consultazioni nazionali, alle ripartizioni regionali, fino alle diatribe comunali, l’indirizzo uniforme è quello di non cooptare tecnici, ma politici che dovrebbero dare gli indirizzi ai tecnici.
Due considerazioni: innanzitutto, un movimento politico dovrebbe avere dei tecnici nella propria squadra, e se non li ha significa che è un raggruppamento demagogico senza alcuna struttura interna; poi, una domanda banale: come fa un politico incompetente a valutare la competenza dei tecnici, se il giudizio di competenza è strettamente legato alla conoscenza teorica e pratica di un sistema organizzato?
Naturalmente uno dirà: anche Prodi, anche Monti sono dei tecnici, eppure hanno affondato il Paese. Ma questa giustificata puntualizzazione è presto stroncata da Brennan. Come nelle giurie giudiziarie, così in un apparato politico, le competenze sono indispensabili, ma richiedono altri quattro paradigmi direttamente collegati: la razionalità, la valutazione rigorosa delle prove; le abilità cognitive di comprendere i processi mentali e sociali; la moralità, nell’esclusione di pregiudizi ideologici; la rettitudine per non cadere nella trappola del ricatto e della corruzione.
È evidente, per Prodi, Monti ed altri, che le loro decisioni non erano finalizzate al bene e alla giustizia della Nazione, ma ad interessi ad essa estranei e spesso, se non quasi sempre, confliggenti, con la convenienza dell’intera comunità.
Nella tripartizione proposta, studiata e sperimentata da Brennan, la democrazia è sostenuta da due formazioni particolari: gli <<hobbit>>, cioè quella maggioranza che non sa nulla di politica, si disinteressa dei meccanismi della cosa pubblica, e se lo fa è sempre sbrigativa e superficiale; e gli hooligans, gli sfegatati, quelli per cui il capo ha sempre ragione e, se eletti, si credono onniscienti perché unti dallo spirito democratico. I vulcaniani, invece, quelli che amano la politica in quanto Arte Regia, sostenuta da ragione, scienza sociale, filosofia e competenze specifiche, nessuno li considera neanche di striscio.
Già si confonde politica con amministrazione, se poi ci aggiungiamo l’alta percentuale di amministrazione scadente, ecco che di fronte al pressapochismo, alla presunzione, all’arroganza e alle facce di bronzo che infestano consigli e parlamento, i sostenitori dell’<<epistocrazia>>, cioè del governo dei competenti e dei capaci, hanno ampiamente ragione quando ritengono che <<nel mondo reale il demone maligno è la democrazia>>. Perché è solo nell’illusione e nell’utopia che questo sistema trova il suo ambiente ideale per i falliti della vita e del destino.