La pietas di antica data, quella che era intesa come una condotta di dignitoso rispetto, di educata distanza, non riesco ad esercitarla nei confronti della sorella di Giulia Cecchettin. Al massimo, per lei, un atteggiamento di compassionevole commiserazione, quella del Golgota, per intenderci, della formula “perdonala perché non sa quello che dice”.
Commentando il comportamento di Filippo Turetta, il feroce assassino, lei propina una serie di luoghi comuni che caratterizzano l’atmosfera di retorica falsificazione etica e morale in cui è immersa la sua gioventù e il clima generale in cui vive.
L’uccisore della sorella è il perfetto esemplare di una società di eunuchi psichici, proprio perché negatori di quella autorità paterna ormai interdetta, svalorizzata, evaporata. È rimasto “il soggetto allo stato bruto”, precisa uno dei più grandi psicoanalisti viventi, Charles Melman, della scuola lacaniana, per il quale tutto è istinto illimitato. Oggi il desiderio, istanza costruttiva e progettuale, è stato sostituito dalle voglie distruttive e consumistiche; l’eros, come pulsione vitalistica e creativa, è stato deformato a impulso pornografico, mortifero e umiliante.
Quando “la perversione diventa una norma sociale”, afferma Melman, come nella nostra quotidianità, emerge “la categoria clinica nuova di questi giovani ai quali, in fin dei conti, tutto è dovuto”; e quando la soddisfazione che dirige il maternage non viene soddisfatta, scatta la frustrazione, alla quale si risponde con la violenza predatoria. Tanto – e questo è il problema del maternage e non del paternalismo, cari i miei progressisti d’accatto – ci sarà sempre il matriarcato buonista e giustificazionista che in termini romaneschi dirà “So’ ragazzi”.
È quello che succede, seguendo le orme di Melman, quando la Legge del Padre che definisce l’impossibile è sostituita dalla tolleranza della Madre che tutto permette e perdona.
Qui non si parla del papà e della mamma, ma di due figure simboliche che regolano dal punto di vista psichico il rapporto con il mondo e le relazioni. “Se il padre è il brav’uomo che conosciamo oggi” – annota Melman – “un poveraccio, addirittura un personaggio comico”, finisce quell’autorità che poneva un limite al potere onnipotente infantile, per cui ogni eccesso e trasgressione rientra nella normalità accettata.
I vari soggetti starnazzanti della sinistra emancipata sappiano che ciò che sta accadendo è una loro specifica responsabilità: una infantilizzazione generalizzata, un libertinaggio di massa, una dissoluzione di ogni realtà relazionale, una vasta prateria di predatori pronti a dimostrare la propria inefficienza psichica e morale, il proprio fallimento umano.