Non c’era bisogno che Federmeccanica sprecasse tempo e denaro per una indagine dal risultato scontato: operai e contadini sono agli ultimi posti nella graduatoria sociale. Inevitabile, in un’Italietta che presta ancora attenzione ai Ferragnez, che celebra il falso mito di Gioanin Lamiera (Gianni Agnelli), che si indigna a comando per le sentenze della giustizia sportiva, che crede alle bufale su intrepide bidelle impegnate quotidianamente in trasferte dagli Appennini alle Ande.
Ovvio che questo mondo di falsità dilagante consideri con disprezzo il lavoro di chi è occupato in fabbrica o si spezza la schiena nei campi. Nell’immaginario collettivo l’agricoltore muore di fame, anche perché i chierici della disinformazione rimarcano che, ormai, ogni prodotto viene venduto ad un prezzo inferiore a quello di costo. Ad osservare le auto parcheggiate di fronte a molte cascine, qualche dubbio sorge. Ma l’immagine negativa resta.
Diversa è la situazione per gli operai. Perché, nel loro caso, le auto di lusso proprio non si vedono. Ed i salari infimi sono certificati dai contratti di lavoro. Sperando che almeno vengano rispettati e non sempre è così.
Però, a fronte dell’offensiva di vermi, larve e grilli sostenuti dagli euro cialtroni, il ruolo dell’agricoltore/allevatore dovrebbe essere tutelato e rilanciato. Con iniziative legate all’abbandono delle grandi città sempre più invivibili e con costi insopportabili per chi ha salari “normali”. Non si tratta di ricreare l’Arcadia, di sognare paesaggi incontaminati e paradisi terrestri. Ma, perlomeno, bisogna creare i servizi indispensabili per favorire la sopravvivenza di un’agricoltura di qualità che sia alla base per la riscoperta della cultura del cibo.

Dunque infrastrutture, innanzitutto. Le linee ferroviarie che, tra le due guerre, collegavano i borghi rurali sono state smantellate per favorire l’industria automobilistica ed una famiglia in particolare. Ma senza collegamenti tutto diventa più complicato e costoso. Servirebbero, inoltre, agevolazioni ed aiuti per chi vuole trasferirsi in campagna ristrutturando vecchi casolari abbandonati. E invece ci si ritrova con funzionari ottusi che preferiscono veder crollare i cascinali, anche i più modesti, piuttosto di concedere la possibilità di ristrutturarli e di renderli abitabili.
È evidente che il piccolo imprenditore agricolo non può accedere ai grandi macchinari ultramoderni, con guida attraverso il gps, costosissimi e sostenibili solo in presenza di immense tenute. Servono quindi interventi per ridurre il costo di affitto di queste grandi macchine. E servono interventi per favorire la commercializzazione dei prodotti tradizionali. Servono reti, servizi, sostegni. Perché è indispensabile ricostruire un sistema distrutto per favorire gli interessi delle multinazionali del settore.
Si sono dimenticate le aree marginali, i territori che richiedono più cure. Si è sostenuto lo svuotamento delle campagne e delle montagne per fornire manodopera a basso costo alle fabbriche nelle città. Ed ora che le fabbriche sono scomparse, si resta con la disperazione degli inurbati senza prospettive. Mentre, al contrario, un rilancio delle campagne favorirebbe anche la nascita di nuove piccole iniziative industriali legate alla trasformazione dei prodotti agricoli del territorio circostante. E di una logistica più efficiente e meno costosa.