“Ma non saremmo una… conventicola?”
È stato il mio amico P. a tirare fuori il nome. E, ricordo, siamo scoppiati tutti a ridere. In modo fragoroso, al solito.
Devi smettere di leggere la Treccani, la sera… gli abbiamo detto tra le risate. E rideva anche lui. Perché P. è un artista. Un artista vero, ancorché, come dice, “concettuale”. Ed ha un profondo senso dell’umorismo.
Comunque, da quel momento, siamo diventati La Conventicola. E, come è uso, ci siamo trovati un protettore. San Policarpo. Monaco stilita, se non erro.
Che facciamo? Ci ritroviamo a mangiare, bere, scherzare…. e ridere.
A pranzo, per lo più al Cavallet, dove Gabriele, il propietario, si diverte come un pazzo, perché il nostro tavolo (e guai a chi ce lo tocca) è proprio accanto al bancone. Dove lui presidia la cassa.
Si diverte… anche se finge di soffrire la nostra presenza. Che, quasi sempre, si prolunga oltre l’orario di chiusura. Impedendogli il meritato riposo.

Talvolta andiamo da Enzo. Ma lì soprattutto la sera. Quando organizziamo sontuose cene di bolliti. O “gnoccolate”. Anzi ne abbiamo una in programma a breve. “Serata degli gnocchi e delle…” ( completate voi… non è difficile).
Insomma, dirà qualcuno, siete una banda de magna e bevi…
Io preferirei dire una Compagnia di Calza. Ricordando l’antico uso dei Carnevali di Venezia. Quelli veri. Quelli del ‘700. Cantati, fra le altre cose, dal grande poeta veneziano Giorgio Baffo. Che di una di queste conventicole (per dirla con P.) fu inesausto animatore.
Però sembra che si faccia un’impressione strana. Ad altri. Che non concepiscano che ci si possa trovare solo così… perché si sta bene insieme. E ci si diverte. Senza alcun altro interesse. E già, qualcuno, ha cominciato a domandare – facendo finta di niente, ovvero rivelando tutto – perché ci… riuniamo. Se, per caso, stiamo pensando a una… lista. E D. gli ha risposto: no. Ad un menù.
Perché, vedete, oggi, nel nostro paese certo e forse anche altrove, quando ci si riunisce il collante che tiene insieme le persone è sempre un qualcosa di… ambiguo. Non la semplice amicizia. Non il piacere della conversazione, che già Leopardi rimpiangeva essere andato perduto nel secolo a lui precedente. Ovvero il ‘700.
Interessi. Speranza di ottenere qualcosa da certe frequentazioni. L’ambizione di entrare in una cerchia ristretta. Che “conti qualcosa”. Perché non si cerca di contare per ciò che si è. Ma per chi si frequenta.

È la ragione del fiorire e prosperare di sette di ogni tipo. Religiose e pseudo-religiose. Massoniche, para-massoniche, cripto-massoniche, di diverse obbedienze più o meno eterodosse. Occulte, esoteriche (o meglio pseudo-esoteriche) orientali e occidentali, alchemiche, magiche, yogiche… e chi più ne ha, più ne metta.
Entrare in questi… chiamiamoli gruppi (per semplificare) ti fa sentire importante. Ti illude di essere in possesso di qualcosa da cui i più sono esclusi. Umberto Eco ne ha fatto una arguta satira, e al contempo analisi sociologica, ne “Il pendolo di Foucault”.
Farsi chiamare “Supremo gran jerofante”, Maestro, più o meno Segreto, ed altri nomi che un tempo avevano un significato, ma che, ora, sono solo astrusi e, in sostanza, buffi, sembra dare una qualche soddisfazione al nostro ego. E, tuttavia, non cambia ciò che siamo.
Perché se tu sei un salumaio, o una parrucchiera resti tale, anche se ti vesti come un Druida o una Sacerdotessa di Artemide una volta alla settimana. Ma se possiedi una, autentica, conoscenza, puoi tranquillamente fare qualsiasi lavoro. Anche l’allevatore di tacchini o la contorsionista. E non hai bisogno di farti chiamare in modo strano e pomposo. Perché sei. E non fingi di essere. Molto semplice…
Già… semplice come il fatto di ritrovarsi per pura amicizia. Come i nostri nonni, che andavano a giocare a bocce all’osteria. E che, tra una partita e mezzo litro di vino, probabilmente trasmettevano più saggezza, e conoscenze, di coloro che, paludati, pronunciano formule di cui non comprendono neppure il significato letterale. O tessono intrighi politici ed economici. Più o meno… sordidi.
E qui viene in mente Battiato: cominci con il mantra della sera, e finisci per cantare la Paloma….

Insomma meglio l’Italia e il Mondo piccolo di don Camillo e Peppone, di quello, pomposo e fintamente esoterico, irriso da Eco.
Nelle cose semplici, nelle amicizie, nelle battute di spirito vi è più sapienza che in tante fanfaluche di millantatori e affaristi mascherati da saggi del Monte Analogo.
Meglio la mia conventicola di San Policarpo.. e la festa del gnocco…