Ascoltare un coro. Un coro di montagna, intendo. È sempre bello. Ti porta in un’altra dimensione, lontano dalle brutture del quotidiano. È come se, ascoltando quelle voci forti e delicate insieme intonare “Signore delle Cime “, ti ritrovassi davvero tra vette, rocce, nevai… A respirare un’aria più tersa. A sentire il profumo dei mughi e degli abeti.
Per me è sempre stata una emozione intensa. Ed è un deposito di ricordi. Ogni volta che ascolto un Coro, è come se lo scrigno si schiudesse.
Ricordi di molto tempo fa. L’infanzia che volgeva al termine naturale. L`adolescenza che si affacciava. Inquieta e imperiosa.
Passavamo parte dell’estate a San Vito. In Val Boite. La sera non vi erano molti svaghi. In Albergo un unico televisore. E due soli canali. Il cinema parrocchiale faceva due proiezioni la settimana. Ed era già una festa. Ma, ogni tanto, prendevamo e andavamo sulla strada per Borca, cinque, sei chilometri di sentiero rasente la Statale.
Lì si ergeva l’Istituto Pio X. Un grande edificio in stile liberty, immerso in un vasto parco. Dove, in una voliera, potevi vedere addirittura un’aquila.
Era stato un Grand Hotel, a suo tempo. Poi, molte vicissitudini. Ospedale militare tedesco durante l’ultima guerra… E, infine, proprietà della Curia.
Vi era una grande sala. E lì, circa una volta la settimana, si esibivano dei Cori locali. Alcuni famosi. Altri amatoriali. Ma era bello comunque. E, cosa strana a pensarci oggi, ingresso gratuito. Non si può pagare la bellezza e la poesia delle Montagne.
Altri ricordi. Più recenti. Molto più recenti.
La sala da pranzo del Posta. A Montagnaga. Nel Pinetano, appena sopra la Valsugana. E il Coro era, appunto, il Genzianella di Pergine. Non era un concerto. Si erano già esibiti sul Lago di Baselga, introducendo e accompagnando uno, straordinario, spettacolo di Pippo Franco.
Fine Luglio. Ma faceva freddo, e l’atmosfera era già, decisamente, autunnale.
Così si erano fermati con noi al Posta. Per rinfrancarsi con piatti di affettati e formaggi, pane fatto in Casa. E, ovviamente, vino rosso. Marzemino. Infine, la grappa locale.
E si sono messi a cantare. Senza preavviso. Senza che fosse programmato.
Un momento magico. Avrei voluto il potere di fermare il tempo. E che durasse per sempre.
L’orrore, la follia, di questo mondo restava lontana. Dimenticata. Vi era solo….bellezza. Assoluta. Qualcosa, come emozione, paragonabile soltanto a quando vidi la Venere di Botticelli. Il suo sguardo perduto in infinite lontananze. Fra altri mondi, remoti.
Le voci, accordate come strumenti musicali, si levavano verso lontane cime. E aleggiavano sopra le acque dei laghi – ché il Pinetano, e tutta la Valsugana è zona costellata da laghi scintillanti di azzurro cielo e verde sottobosco – come, dice la Genesi, lo Spirito di Dio sopra quelle del mare primordiale.
Un’emozione intensa. Che perdura, nonostante quel concerto improvvisato sia stato cosa breve…
Siamo a Natale. Il secondo Natale compresso dalla follia, avidità, stupidità ormai imperante. Uscire non ha senso. Il tirannello locale, servo del tiranno più grande, a sua volta strumento di altri – è un gioco, diabolico, di scatole cinesi – ha vietato praticamente tutto. E molti ne sono felici. Perché così possono ulteriormente nutrire la loro miserevole accidia…
Uscire non ha senso. E poi piove. E, per essere a Roma, fa freddo.
Ma io, qui, sto bene. Ho trovato, in rete, il Concerto di Natale proprio del Coro Genzianella. Da una chiesa del Trentino. Lo ascolto. E mi sembra di essere ancora lì. E, incredibilmente, sono felice.