Il Coronavirus nel mondo è stato gestito in modi completamente diversi dalle leadership politiche e, forse, bisognerebbe guardare al modello di successo dell’Australia.
Coronavirus oggi: il modello australiano
Le statistiche parlano da sole nel caso australiano, e raccontano la storia di un Paese che può vantare i risultati di un’ottima gestione della pandemia da Covid-19 da un anno a questa parte. La media dei contagiati al giorno infatti, nell’ultimo mese si attesta intorno alle 7 persone; un numero straordinario per una nazione con oltre 25 milioni di abitanti. Certo, per raggiungere questo risultato è servito il “pugno duro” da parte delle forze politiche, ma i risultati pagano e sono chiari.

La gestione dell’Australia: il modello da seguire
L’Australia, dall’inizio della pandemia, sembra aver domato il Covid-19. Sicuramente, il fatto di avere a disposizione spazi vastissimi ha contribuito a creare una delle condizioni imprescindibili per il distanziamento sociale. Già la primavera scorsa – circa un anno fa – mentre in Italia l’aumento dei contagi e dei decessi era esponenziale, a Sidney si riapriva Bondi Beach. Che cosa ha portato, però, questo luogo ad essere un esempio di gestione funzionale di un flagello sanitario dilagante?
I tamponi
Muovendosi tra lockdown totali e parziali, la governance australiana è riuscita a diminuire significativamente il tasso di contagi in un solo mese. Un esempio significativo è stato quello di marzo-aprile 2020. Tale periodo, caratterizzato dalle temperature miti e dalle influenze stagionali, rappresentava potenzialmente un momento “ideale” per l’incedere dei contagi. Ruolo chiave per contenere la diffusione del virus è stato quello dei tamponi: con l’acquisto di 10 milioni di kit in poco meno di un mese le persone hanno riacquisito una certa libertà di movimento. Senza mai abbassare la guardia ed optando per lockdown localizzati, dunque, l’Australia è riuscita ad passare da un tasso di contagio del 25% a fine marzo 2020 ad un 1% il mese successivo.
Non è stato facile
Il primo scoglio che l’Australia ha incontrato approcciandosi alla pandemia è stato, indubbiamente, quello della calante popolarità del primo ministro Scott Morrison. La mala gestione degli incendi verificatisi tra il dicembre 2019 e il gennaio 2020 lo ha messo in cattiva luce ed ha contribuito all’inefficienza del suo piano comunicativo. Inoltre, ogni Stato australiano era libero di applicare le proprie misure di contenimento del contagio, essendo l’Australia una repubblica federale; tale fatto ha contribuito a provocare una differenza tra i diversi Stati, creando un iniziale svantaggio.
Un continente isolato
Fortunatamente, nonostante la mala gestione degli incendi, il Primo Ministro Morrison ha dimostrato di saper essere incisivo. Sicuramente l’aumento esponenziale dei test ha consentito via via le riaperture ma ci sono altri fattori che hanno inciso in maniera significativa:
- Il fatto che l’Oceania sia un continente isolato geograficamente e che l’Australia in particolare abbia delle politiche migratorie molto rigide ha permesso di chiudere le frontiere con una certa facilità. Obbligatoria la quarantena di 14 giorni per i pochi a cui è consentito l’accesso e chiusura dei confini estesa fino a giugno.
- Gli australiani godono di un clima mite, il che spinge le persone a stare meno al chiuso e trascorrere più tempo all’aria aperta. Gli spazi aperti risultano essere il luogo migliore proprio perché l’aria circola ed è più semplice mantenere il distanziamento sociale.
- L’Australia è uno dei luoghi con l’aria più pulita al mondo. In questi mesi è stato dimostrato che l’inquinamento, infatti, sarebbe un fattore trainante della pandemia. Fattore di cui si parla pochissimo quello ambientale, ma che spiegherebbe perché Brescia, città tra le più inquinate d’Europa, rimane tra le più colpite dal Covid-19.
Un mix di governance e fattori naturali vincente, dunque.
Fuori pericolo?
La campagna vaccinale prosegue senza sosta da quando il premier Morrison, vaccinandosi, ha dato il via all’immunizzazione di massa. I vaccini scelti sono stati Pfizer e AstraZeneca – visto il risultato fallimentare ottenuto sperimentando il vaccino australiano – e la priorità è stata data ad operatori sanitari, australiani over 70 ed aborigeni over 50 . Certo, nonostante i contagi giornalieri australiani si possano contare sulle dita di una mano, non si può dire che non ci siano. Solo lo scorso febbraio a Perth – una delle città più popolose nella nazione – una guardia giurata è risultata positiva al Coronavirus. Il risultato? Lockdown totale per due milioni di cittadini, per cinque giorni. La regola è valsa anche per Brisbane e Sidney qualche mese prima.
Modello australiano: ha senso utilizzarlo in Europa?
Agli occhi degli europei il modello australiano potrebbe sembrare troppo rigido, ma forse dovremmo chiederci se sia il caso di imitarlo: dall’inizio della pandemia i casi sono stati circa 28.000 e circa 900 i morti. L’ultima vittima del Covid-19 è deceduta a dicembre 2020. Il virologo inventore del modello australiano, MacKay, ha dichiarato al NYT : “Tutti possono imparare da noi, ma molti non lo stanno facendo. Non penso si stia prestando la necessaria attenzione”. E mentre il Coronavirus nel mondo continua a dilagare, in Italia sembra di vivere una guerra di logoramento da un anno a questa parte; complici le scelte politiche di dubbia efficacia. A Melbourne, invece, si è appena disputato l‘Australian Open.
