Pietro l’Aretino…. Sì, direttore, ancora lui. Avevo ben detto che sarei tornato a parlarne. È Carnevale, ormai. E il nostro una vera miniera di spunti, racconti, aneddoti…
Dunque Pietro l’Aretino detestava, con tutte le sue forze, i Cortigiani e lo stile di vita cortigiano. Mentre amava, oserei dire adorava, le Cortigiane.
Contraddizione solo apparente. Superficiale. Che trae origine dall’ambiguità del termine. Perché, nel Rinascimento, il Cortigiano era l’uomo di Corte. Non necessariamente di nobili natali, ma comunque colto, ben educato, raffinato. Ed era questo che contava davvero. La forma. Come dimostra il Monsignor Giovanni della Casa nel suo “Galateo”.

Certo, i cortigiani erano, spesso, artisti e letterati, politici e diplomatici che mettevano arte e genio al servizio del Signore. La cui capacità di governo si rivelava anche, anzi soprattutto da coloro di cui si circondava e avvaleva. Così almeno ci spiega il Castiglione, nel suo “Cortigiano”. E Castiglione era un cortigiano, e uno dei più grandi diplomatici della sua epoca. Conosciuto e apprezzato in tutta Europa…
Già, ma mica tutti erano come il Castiglione. O arbitri di eleganza e raffinati letterati come il Della Casa. Entrambi descrivono in fondo solo se stessi, una figura ideale, non la realtà della condizione cortigiana. Che ritroviamo, piuttosto, nei passaggi più amari delle Satire dell’Ariosto. Per tacere delle furie del Tasso.
Piccoli uomini, misere ambizioni, piaggeria e meschine invidie. Parassiti e ruffiani. L’Aretino non li poteva proprio sopportare. Cortigiano, ad onor del vero, lo era stato anche lui, giovanissimo. Portato a Roma dal Cardinal Chigi, e poi al servizio del Medici. Venendo introdotto, per le sue brillante doti letterarie, alla Corte del Papa. Ma quell’abito gli andava troppo stretto.. E così si era cacciato, più volte, nei guai. Come ho già, sommariamente, narrato.
Via da Roma, Cortigiano non era stato più. Aveva seguito Giovanni de’ Medici Giovanni dalle Bande Nere, uno dei più geniali e inventivi capitani di ventura. Erano amici. E quello era il mestiere delle armi. Rischio e avventura. Altro che le trame delle corti…
Poi si era stabilito a Venezia. Che era Repubblica. E non vi erano cortigiani. Il Doge era il primo magistrato che serviva la legge e lo Stato. Non un principe da incensare e del quale accattivarsi i favori.
A Venezia, nella sua, sontuosa, dimora sul Canal Grande, Messer Pietro tenne lui corte. E fu lui il Signore. Flagello dei principi, pagato per le sue satire, temuto per i suoi, corrosivi, giudizi. Circondato da amici, parassiti, organizzava banchetti da far invidia a Lucullo. E si circondava di bellissime donne. Per lo più cortigiane. Ovvero, professioniste dell’eros. In parole schiette, quelle che Aretino preferiva, puttane.
Perché Cortigiana, al femminile, questo significa. Non dama di Corte. Ma puttana. Che può sembrare volgare espressione, e me ne scuso con le signore. Ma non lo era all’epoca. Non per lo meno per scrittori come l’Aretino. Che nel suo, famigerato, Dialogo delle Cortigiane, fa ragionare due donne, la Nanna e l’Antonia, su che carriera far intraprendere alla giovane figlia di quest’ultima. La Pippa. E questo è proprio il nome, andate a controllare. Comunque, visto che alle donne si aprivano tre carriere, la moglie, la monaca e la puttana, le due dopo molto argomentare, sapido e salace, giungono alla conclusione che la terza sia la professione migliore. Meno faticosa, meglio renumerata, socialmente utile e apprezzata. E, in fondo, più piacevole.

Toglietevi, però, dalla mente squallide immagini contemporanee da raccordo anulare. Quelle Cortigiane erano ben altra cosa, e ben diverse anche dalle odierne Escort. Non contava solo il fisico, ma l’intelligenza, il brio, l’eleganza. La cultura. La loro, in fondo, era arte come per le etere greche. Come per le gheishe giapponesi.
L’esempio è Veronica Franco. Bellissima, ma anche poetessa raffinata, musicista…. E nell’elenco delle prostitute autorizzate da Venezia ad esercitare, la prima. La più apprezzata e, giustamente, la più costosa.
Comunque, Pietro Aretino, a Venezia, si circondava di tali presenze. Anzi, teneva costantemente a servizio cinque fanciulle. E quando le cambiava, le licenziava dando loro una cospicua dote. Le chiamavano le Aretine. E loro ne andavano orgogliose. E così il nostro trascorse tutta l’ultima parte della vita, in quel palazzo che era divenuta una vera e propria Accademia d’amore, nel senso letterale del termine. Stimato e temuto ritratto dal suo grande amico, il Tiziano, continuò sempre a lanciare i suoi strali contro i cortigiani. Che, poi, il Verdi farà definire da Rigoletto “vil razza dannata”.
E continuò, in parallelo, ad amare le Cortigiane. E ad apprezzare la loro compagnia…
Che ci volete fare…. Il Rinascimento era così. Un’epoca divorata dalla fame di vita, dalla creatività in tutti i campi. Dall’eros, che, in fondo, ne rappresentava la forza propulsiva.
Oggi quelle Cortigiane non esistono più. E in fondo anche i Cortigiani, tanto disprezzati dall’Aretino, sono ormai specie estinta. Erano colti, ed eleganti anche nella piaggeria. Oggi, basta leggere un giornale, accendere la televisione e vedere spettacoli che fanno sembrare meno squallidi quelli del raccordo anulare, cui accennavo. Non ci sono più i cortigiani di una volta… Solo dei miserevoli lecchini di provincia..