Il primo turno delle elezioni generali, svoltosi il 6 febbraio in Costa Rica, ha spazzato via la formazione di governo dell’uscente Carlos Alvarado Quesada. Il suo delfino si è, infatti, fermato allo 0,6% nella palude dei tantissimi candidati che non sono riusciti ad evitare la cifra da prefisso telefonico facendo naufragare anche il Partido Acción Ciudadana che resterà fuori dal Parlamento.
Dei venticinque aspiranti alla presidenza ben diciannove non hanno raggiunto l’1% di consensi e solo cinque hanno corso davvero per arrivare al secondo turno del 3 aprile. A staccare tutti gli altri competitors è stato José María Figueres che con il 27,3% si pone in una netta situazione di vantaggio al ballottaggio al quale prenderà parte anche Rodrigo Chaves Robles.
Non si tratta di volti nuovi per i conoscitori della politica costaricense. Figueres, già presidente dal 1994 al 1998, è il figlio del tre volte presidente e fondatore del Partido Liberación Nacional José Figueres Ferrer mentre Chaves ha svolto per sei mesi il ruolo di ministro delle Finanze nell’esecutivo uscente dal dicembre 2019 al maggio 2020.
L’enorme quantità di candidati ha reso frastagliata anche la composizione dell’unica Camera del Paese che, nei prossimi quattro anni, non godrà di una compatta maggioranza. Dei 57 scranni totali al Pln sono andati 19 seggi mentre il Partido Progreso Social Democrático (PPSD) di Chaves si è fermato a dieci.
D’altronde lo stesso Chaves ha battagliato con altri tre candidati per assicurarsi la seconda posizione ottenuta con il 16,7% scalzando uno dei favoriti della vigilia ovvero Fabricio Alvarado Muñoz, il pastore evangelico che giunse in testa al primo turno nel 2018 e che, questa volta, non è arrivato al 15% eleggendo solo 7 deputati con il suo Partido Nueva República (PNR).
Alle loro spalle figurano appaiati al 12,3% Lineth Saborío Chaverri il cui Partido Unidad Social Cristiana (PUSC) avrà nove seggi e Eliécer Feinzaig Mintz del Partido Liberal Progresista (PLP) che ne ha conseguiti solo sei.
In crescita ma ancora lontano dai consensi di alcuni Stati limitrofi dell’America latina la sinistra del Frente Amplio che con poco meno del 9% sale da un solo seggio ai sei attuali.
In calo l’affluenza che ha visto partecipare poco meno del 60% dei tre milioni e mezzo di aventi diritto.