Il secondo turno delle elezioni presidenziali in Costa Rica ha incoronato Rodrigo Chaves Robles. Che per José María Figueres, giunto in testa lo scorso 6 febbraio con ben undici punti percentuali di vantaggio su Chaves, non sarebbe stata una passeggiata lo avevamo preannunciato e i dati definitivi lo hanno confermato.
Il leader del Partido Liberación Nacional (Pln) si è fermato al 47,1% contro il 52,9% del suo sfidante che succederà all’uscente Carlos Alvarado Quesada di cui era stato ministro delle Finanze per appena centottanta giorni.
Nonostante i flussi elettorali mostrino come Chaves abbia giovato dell’assenza di un candidato forte dell’esecutivo uscente, l’ex dipendente della Banca mondiale ha voluto presentarsi agli elettori come un outsider indipendente mosso da un’idea rivoluzionaria in grado di “ripulire la casa e la storia del Paese”.
Un appello che molti dei tre milioni e mezzo di cittadini aventi diritto di voto – proclamatisi indecisi fino agli ultimi giorni per le principali case sondaggistiche della nazione centroamericana – devono aver accolto decidendo di sostenere l’economista del Partito per il Progresso Social Democratico (PPSD).
La sua presidenza dovrà comunque fare i conti per i prossimi quattro anni con l’Assemblea Nazionale in cui esprimerà appena dieci dei cinquantasette deputati che la compongono.
Considerato un populista oppostosi ai partiti tradizionali da alcuni, un conservatore centrista da altri, il sessantenne neoeletto si ritroverà a ricoprire per la seconda volta una carica politica nella sua vita considerando che prima dell’esperienza ministeriale non aveva mai preso parte all’agenda politica del suo Paese. Quasi un tecnico ma con la differenza, per nulla banale, di essere stato eletto dal popolo e non piazzato ad hoc da partiti e giochi di palazzo.