Forse i conti dei grandi gruppi automobilistici mondiali sono ancora troppi positivi per costringere proprietà e manager ad impegnarsi per modificare la percezione delle quattro ruote.
In attesa di un eventuale intervento sull’immaginario collettivo, l’auto mondiale – secondo le analisi dell’Anfia – ha incassato ad aprile uno sganassone clamoroso. Gli unici grandi mercati ancora con il segno + sono quelli del Giappone e del Brasile.
Per tutti gli altri la situazione è negativa. A partire dall’Unione che, insieme all’Efta (Islanda, Norvegia e Svizzera) ha chiuso il quarto mese dell’anno con una flessione contenuta allo 0,5%. Non male, considerando gli altri grandi mercati.
Per Il Nafta la flessione è del 2,5% ma si tratta del dato complessivo dei veicoli leggeri, comprendendo dunque anche i furgoni. Così, negli Usa, la frenata di tutti i veicoli leggeri è complessivamente dell’1,7%, ma se si scorpora il solo dato delle auto ci si imbatte in un desolante -7,5%. Con un paio di annotazioni aggiuntive. Le consegne di vetture con alimentazione alternativa sono aumentate del 34% ed il comparto vale ore il 4,8% del mercato. In secondo luogo anche negli Usa si accentua la frenata di Fca, così come in Canada e Messico. Un calo che è superiore a quello del mercato. In Canada la flessione dei veicoli leggeri è pari al 5,5% ma per le sole auto arriva al 14%. In Messico, a fronte del -10% dei veicoli leggeri, la caduta del comparto auto è del 21%.
In Sud America il Brasile – dove le auto a benzina rappresentano solo il 3% mentre il diesel vale il 9% – le vendite aumentano cresce del 5,6%, al contrario dell’Argentina rovinata da Macri ed alle prese con il crollo del 61,5%.
Non va molto meglio alla Turchia che, con sole 24mila immatricolazioni (sono 21mila in Argentina), registra un calo del 55,7%. Frena (-2,7%) anche la Russia, alle prese con un calo di fiducia. In Asia prova a rilanciarsi il Giappone (+3,3%) mentre per la Cina il risultato è decisamente negativo, con una flessione del 17,7%.
Eppure le case costruttrici non riescono ad intercettare il cambiamento e si illudono di sopravvivere ricorrendo ai soliti e logori spot. Magari più raffinati, ma privi di capacità di coinvolgimento del pubblico.