Nayib Bukele ha scelto la Turchia per sbarcare, in visita ufficiale, nel Medio Oriente. Una meta per nulla banale per il quarantenne presidente di El Salvador di origini palestinesi.
Incassato lo scorso 28 febbraio il netto successo elettorale che gli consentirà di usufruire di una maggioranza superiore a quella dei 2/3 nell’Assemblea Nazionale fino alla scadenza del mandato presidenziale nel 2024, il politico millenial sta radicalmente stravolgendo la politica estera della nazione centroamericana.
In primis rompendo i rapporti formali con Taiwan e recandosi in visita ufficiale in Cina poco dopo il suo insediamento nel 2019, ora cercando appoggi nel Medio Oriente. Giunto ad Ankara per incontrare l’omologo turco Recep Tayyip Erdogan, Bukele ha avuto modo di discutere di bond di stato, lira turca e operazioni di mercato aperto, in particolare riguardo all’uso che in questo settore potrebbero avere le criptovalute.
Il presidente salvadoregno, infatti, è stato il primo capo di Stato al mondo, nel giugno 2021, a riconoscere come moneta nazionale i bitcoin, seppur ad oggi i risultati attesi tendano a latitare.
Bukele, però, guarda avanti anche col rischio di dimenticare il passato del proprio Paese. Solo una decina di giorni fa ha scandalizzato l’opinione pubblica la sua decisione di non presenziare al trentesimo anniversario degli accordi di pace tra la guerriglia di sinistra, poi trasformatasi in partito (anche di governo), del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (FMLN) e i partiti politici di centrodestra che il 16 gennaio 1992 a Chapultepec in Messico misero fine ad un decennio di guerra civile che aveva tolto la vita ad oltre settantacinquemila persone. Uno sguardo al futuro, quello dell’inquilino del palazzo presidenziale, fin troppo fisso con il serio rischio di dimenticare la storia e le lezioni di quest’ultima riguardo al menefreghismo della classe politica.