La Valle Maira è da tutti riconosciuta come un luogo incantato di bellezza, una bellezza che testimonia come l’antropizzazione delle Alpi ci abbia consegnato un “panorama culturale” che nulla ha a che vedere con l’idea di Wilderness così come ora lo si intende.
Questa bellezza è l’impronta lasciata dal passaggio dell’uomo, è il vissuto millenario di una popolazione che ha fatto della libertà la cifra del vivere il Monte, una libertà voluta e difesa.
Eccone una testimonianza.
Il trattato di pace tra Carlo Emanuele I e il re di Francia firmato a Lione il 17 gennaio del 1601 riconosceva la sovranità sabauda sul Marchesato di Saluzzo e disponeva che “..alcun abitante del marchesato non avrebbe potuto essere molestato per aver prima seguita la parte avversa… e che le terre ne sarebbero state mantenute nelle loro franchige e privilegi…” , ma a dispetto di quanto sancito l’anno dopo il Duca iniziò a infeudare la valle Maira.
Questa era stata l’unica valle a schierarsi apertamente armi in pugno a fianco del re di Francia e a dichiarare guerra al Savoia, non si poteva lasciare che continuasse a autogovernarsi in base a statuti vecchi di quattrocento anni.
I valligiani, allora popolo in armi, avevano difeso la loro terra e le loro libertà in un modo epico e valoroso, anche se fin dall’inizio era chiara la sproporzione delle forze in campo e per cinquant’anni si protrasse un conflitto che aspetta ancora di essere studiato.
Inizialmente fu lotta armata, poi divenne quello che ora chiameremmo resistenza, si spostò sul piano religioso quando quasi tutta la valle aderì alla riforma e poi si trasformò in atteggiamenti ostili nei confronti dei feudatari mandati da Torino.
La normalizzazione di questo covo ribelle richiese molto tempo, ci pensarono le truppe mercenarie spagnole, i feudatari e per quanto riguardava la religione se ne occuparono i cappuccini.
Tutti agirono con i modi “virili” raccomandati dal Duca.
L’ultimo passo formale di difesa delle secolari libertà fu la lite nei confronti del loro nuovo feudatario sostenuta davanti alla Camera ducale del Conti dai comuni di Prazzo, Ussolo e San Michele (ora sono un unico comune), ma nonostante quanto disposto dalla pace di Lione, la sentenza diede loro torto in quanto “..essere in facoltà del Principe di derogare a patti particolari pel bene generale dello Stato..”, così andavano allora le cose allora e così comunque vanno ora…..
Così persero la libertà “uomini, & Comunità delle Terre di tutta la valle di Mayra”, ma il Duca, dopo che uno dei nuovi feudatari fu ritrovato spolpato in un formicaio, si premurò sempre di consigliare ai nuovi signori di occuparsi del loro feudo rimanendo nelle loro abituali residenze, “senza risalire una valle popolata da gente infida e crudele”.