Esiste una Storia con la “S” maiuscola e una storia con la “s” minuscola. La prima è quella che si studia(va) a scuola, quando questa materia faceva ancora parte delle materie fondamentali; prima cioè che qualche ministro buontempone decidesse che si trattava di un sapere marginale per non dire superfluo. La seconda è quella che riguarda ciascuno di noi e che racchiude le vicende nostre e di ciascuna famiglia. A volte le due “storie” si incontrano e si incrociano con esiti spesso tragici.
È esattamente quello che ci racconta Giuseppe Culicchia nel suo ultimo libro “La bambina che non doveva piangere”, pubblicato appena qualche settimana fa da Mondadori nella collana Strade Blu (pp.224, €18,00).
Si tratta in qualche modo del seguito del fortunato “Il tempo di vivere con te”, uscito nel 2021, che raccontava del rapporto tra l’autore e Walter Alasia, il cugino che Culicchia amava come un fratello e che, dopo essere entrato a far parte delle Brigate Rosse, morì in uno scontro a fuoco con la polizia il 15 dicembre del 1976. In questo nuovo racconto l’autore completa la vicenda presentando la figura della madre di Walter, Ada Tibaldi, sorella minore di Elisabetta, madre di Culicchia.
La storia inizia a Nole Canavese con l’incontro dei futuri coniugi Giuseppe e Giuseppina Tibaldi, dalla cui unione nascono sei figli, tre femmine e tre maschi. Giuseppe per un problema fisico non partecipa alla Grande Guerra, ma ciò non gli impedisce di partire, insieme ad altri camerati del canavese, per partecipare alla Marcia su Roma. Dopo il suo ritorno, e negli anni successivi, deve sbarcare il lunario tra mille difficoltà per tirare avanti con quella famiglia così numerosa. Una situazione che si fa particolarmente difficile negli anni della guerra.
Con il passare degli anni, e dopo il ’45, le cose vanno un po’ meglio. I figli sono cresciuti e pensano di mettere su famiglia. Ada, personaggio intorno al quale ruota la storia, è la più allegra ed esuberante della famiglia. Le piace scherzare e soprattutto andare a ballare. Proprio in una sala da ballo conosce Guido, un operaio di Sesto San Giovanni che trascorre le vacanze estive nelle Valli di Lanzo. Ada resta incinta e sposa Guido; ma ciò comporta il trasferimento della nuova famiglia nella città dell’hinterland milanese. Dopo Oscar, il primogenito, nasce Walter. Ada e Guido sono entrambi operai: vivono in ambienti di lavoro tutt’altro che confortevoli e in una situazione fortemente politicizzata. Ada è sempre in prima fila quando si tratta di portare avanti le rivendicazioni sindacali e si iscrive prima alla CGIL e poi al PCI. In estate tornano per le ferie nel paese natale di lei dove la sorella Elisabetta si è sposata a sua volta con Francesco Culicchia, un immigrato siciliano che a Grosso apre una bottega di barbiere.
L’autore ci racconta dello stretto rapporto che egli instaura con Ada, che considera come una seconda madre, e in seguito con Walter, il fratello maggiore che lui non ha mai avuto.
La storia si dipana piano piano fino al tragico epilogo di quella mattina di dicembre quando la polizia bussa alla porta della famiglia Alasia per arrestare Walter. E continua fino alla morte di Ada che si spegne di infarto (l’autore però dice “di crepacuore”) all’età di soli cinquantadue anni.
Con quell’onestà intellettuale e il tono antiretorico che lo contraddistinguono da sempre, Culicchia mescola la Storia d’Italia con la storia della sua famiglia. Ma soprattutto ci racconta del dolore suo e dei suoi familiari, un dolore che egli sentiva da sempre di dover affrontare mettendolo nero su bianco. È lo stesso Culicchia a dirci che questo libro avrebbe voluto scriverlo tanti anni fa, quando la sua carriera di scrittore non era neppure cominciata. Ma il dolore legato a quella vicenda era ancora troppo forte e solo ora ha trovato la forza e il coraggio di affrontare quel dolore per trasfonderlo in queste pagine che contengono fatti di cronaca nonché un’intima e partecipe confessione.