Non tutti, ovviamente, ma quella precisa categoria antropologica caratterizzata dall’andatura lenta, dalle mani agganciate dietro alla schiena, con una curvatura regolamentare tra i venti e i trenta gradi, che quando ti incrociano – con il tono di voce tra l’untuoso e il portasfiga – ti chiedono: Come va? E tu scatti immediatamente a tastarti i gioielli di famiglia, che magari non sono ancora un ricordo, ma mantengono comunque la funzione apotropaica.

Odio quelli che si presentano in anticipo fastidioso davanti agli uffici, facendo ringhiare le dentiere al minimo sospetto di essere superati, giocando sul fattore tempo che mi fa sempre frullare la stessa domanda: Premura per cosa? Forse per paura di trovare il loculo già occupato? Per non arrivare in tempo a prendere il carro funebre? Per scoprire che sono momentaneamente esaurite le urne per le ceneri?
Odio quelli che vivono da mutuati, con il meccanismo mentale di sottoporsi a regolari controlli per esorcismo: perché se oggi mi faccio un cardiogrammo (regolarmente al maschile) o mi controllo la diabete (regolarmente al femminile), e poi mi dicono di tornare tra sei mesi, so per certo che dal punto di vista scaramantico per tutto il periodo di attesa sarò indenne da rischi. Sono quelli che ti telefonano alle 7:20 del mattino per informarti come è passata la nottata, oppure dopo le 21:00 di sera per sapere se possono prendere cinque gocce in più di ansiolitico. Vivono in costante attesa tra una diagnosi e l’esalazione dell’ultimo respiro, fottendosi mestamente gli ultimi anni da usufruire prima di diventare un caro – anche no – estinto.

Odio i pensionati benestanti, quelli attaccati al soldo che ogni mese controllano se la pensione è stata decurtata di qualche euro, che lesinano sulla fetta di prosciutto o sul rincaro delle zucchine, che parlano esclusivamente del carovita e di come si stava bene, uscendo poi – se appena appena contraddetti – con una tanto epica quanto perversa preoccupazione: quella di morire poveri. Imbecilli! Peccato è morire con i soldi e far godere gli altri. Una volta tirate le cuoia, sai che mi frega dei debiti, e alla cassa ci pensi il Comune.
Per tutti questi, benvenuto Covid19: una bella sanificazione epidemiologica di chi rovina anche l’atmosfera degli altri.

Amo appassionatamente l’altra percentuale antropologica, anche molto più anziana, che quando ti incontra ti dice: Oh, giusto bene, cosa bevi che ho appena preso la pensione! Sono quelli che incontro abbastanza regolarmente nelle poche osterie rimaste o nelle trattorie. Ci facciamo qualche salsiccia, o le patate al forno, o una di gnocchi variamente preparati e parlano di cosa faranno il fine settimana, della compagnia ridotta ma sempre vispa, del domani in una prospettiva migliore. Ti raccontano di un passato senza rimpianti e di un futuro senza rimorsi, in un presente da godere fin che si può, con la leggerezza di chi sa assaporare serenamente ciò che si ha e si può ancora avere.
Lunga vita a questi: invidia di molti coetanei ed esempio di speranza per molti giovani già vecchi.