Non se ne poteva più di “resilienza”, parola omnibus, utilizzata nell’ingegneria e nella politica, nello sport e nella (in)cultura che caratterizza questa espressione gastronomica che è l’Italia. Tranquilli, ora si cambia. Meglio prepararsi al nuovo che avanza. E che, nella guerra delle parole, non ha nulla a che fare con la destra fluida che governicchia il Paese. La nuova parola che si porta bene in questo finale di autunno e, probabilmente, anche nell’imminente inverno, è “inclusione”.
Bisogna includere i bambini ciucci nella scuola elementare, gli studenti che non studiano nelle scuole superiori ed all’università, gli aspiranti atleti pigri e tecnicamente scarsi nelle squadre sportive, i clandestini nelle graduatorie per sussidi tolti alle famiglie italiane, i delinquenti nel reinserimento al lavoro. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Perché in qualsiasi settore è obbligatorio essere inclusivi. Abbiamo libri inclusivi, abiti inclusivi. Non significa nulla, dunque si può utilizzare quando si vuole. È come l’insopportabile “importante”: un giocatore importante, un goal importante, un incremento importante, un dolore importante. Fantasia al potere.
D’altronde l’uniformità del linguaggio è la perfetta dimostrazione dello spirito gregario dei giornalisti di oggi. I famigerati pool, i gruppi di fastidiosi intervistatori che si muovono in branco per intervistare le medesime persone e rifilare le medesime informazioni con il medesimo stile. Dunque resilienza per tutti, per poi passare tutti insieme all’inclusione dopo una deviazione di massa verso l’importante.
Parole identiche per un pensiero unico. Perché ciò che conta davvero è la veicolazione del pensiero omologato. Ed il destracentro di governo sta dimostrando tutta la propria incapacità nel fronteggiare la sotterranea opposizione al cambiamento che passa, come è giusto che sia, attraverso l’imposizione della nuova lingua. La destra fluida, rinunciando al proprio retroterra storico e culturale, accetta la nuova lingua e si consegna alla narrazione degli avversari. Non rendendosi conto delle conseguenze di questa resa culturale.