Il Referendum 2022 segna un flop di affluenza al 20% (la più bassa dal dopoguerra) e quorum non raggiunto: lo spoglio dei risultati ufficiali però ha premiato il Sì in tutti e cinque i quesiti. Il raggiungimento del quorum ai referendum sulla giustizia era tutt’altro che scontato. Secondo le previsioni raggiungere il 50% più uno dei voti sembrava un’impresa quasi impossibile, come poi dimostrato dai dati reali sull’affluenza. Finora in Italia il quorum è stato raggiunto in 39 quesiti referendari su 67. Ma dal 1997 a oggi non è stato raggiunto quasi mai: solo nel 2011 la partecipazione ha riguardato la maggioranza degli elettori.
I cinque quesiti sono stati promossi dalla Lega e dal partito Radicale, con un lungo lavoro alle spalle, sono stati presentati dopo l’approvazione di nove Consigli regionali. I quesiti riguardavano la legge Severino, le misure cautelari, la separazione delle carriere e la valutazione dei magistrati e le candidature al Csm.
C’è ancora tanto da fare per riformare un ordinamento come quello giudiziario che dovrebbe essere sinonimo di trasparenza e correttezza. Vi è fortemente la necessità di una giustizia realmente giusta. Eclatante fu il caso di Enzo Tortora, che da semplice cittadino è incappato nella giustizia ingiusta dei teoremi e che ha scelto di fare della propria vicenda privata una questione politica. Con coraggio si è prima candidato e poi, eletto, ha rinunciato all’immunità parlamentare per dimostrare la propria totale e assoluta innocenza. Un esempio unico di impegno civile e politico. Enzo Tortora a distanza di 34 anni, rappresenta ancora l’assurda macchina della giustizia, fatta di finti pentiti, di imperizia dei giudici e di difese corporative. Dalla sua morte in Italia ci sono ancora più di 1000 casi l’anno di ingiusta detenzione. Allora come oggi, la parola magica è: riforma della giustizia, da perseguire ovunque sia possibile, in Parlamento e nel Paese.
L’amara verità è che le riforme non andrebbero fatte attraverso i referendum ma dal Parlamento. Ma la politica è più di 30 anni che tergiversa. Una classe politica, che inseguendo il consenso elettorale, non comprende che l’elettorato vuole una riforma della giustizia e una giustizia più giusta. Un referendum, inutile, che dovrebbe costare agli italiani per una unica giornata di votazioni in tutto il territorio nazionale circa 400 milioni, di cui oltre 300 milioni a carico del solo ministero dell’Interno e il resto diviso tra il dicastero della Giustizia e quello dell’Economia.
Tali sono le spese necessarie che coprono diverse voci: dall’allestimento dei seggi elettorali alla retribuzione degli scrutatori e degli straordinari per le forze dell’ordine e il personale amministrativo, fino ad arrivare a tutti i vari costi per i materiali e per l’apparato informatico. Un risultato che è una sconfitta su tutti i fronti per gli italiani.