Esattamente cinquant’anni fa, nel mese di marzo del 1973, venivano pubblicati almeno tre dischi destinati a fare la storia della musica: si tratta di Lark’s Tongues in Aspic dei King Crimson, di Houses in the Holy dei Led Zeppelin e soprattutto di The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd.
Per celebrare il mezzo secolo di vita di questo capolavoro la casa editrice Mimesis ha dato alle stampe “The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd. Nel (micro)solco della follia” di Marco Dainese (pp. 274, €22,00).
Il disco era uscito negli USA il 1 marzo del ’73 e solo qualche settimana dopo nel Regno Unito, patria dei quattro musicisti che lo avevano realizzato. Fu forse per questo motivo che non riuscì mai a raggiungere il primo posto nelle classifiche di vendita nella terra natia, mentre negli States si installò al vertice della classifica di Billboard fin da subito e ci rimase per parecchio tempo. Non solo: si confermò tra i duecento dischi più venduti per oltre settecento settimane consecutive. Un record che giustifica gli oltre cinquanta milioni di copie vendute in tutto il mondo. Un successo che dura tutt’ora, dal momento che, prima della versione celebrativa uscita in questi giorni – composta da vinili, blu ray, Cd e materiale vario – il disco è stato ristampato continuamente.
Il saggio di Dainese rappresenta un’attenta e approfondita analisi non solo dell’opera dei Pink Floyd ma dell’intera epoca della cosiddetta musica progressive. Si tratta di un periodo piuttosto breve che va all’incirca dal 1969 al 1975; un’epoca in cui la musica aveva un posto centrale nella cultura soprattutto giovanile ma non solo. Il Prog rappresentò un salto di qualità importante nella fruizione musicale: dopo il periodo della musica da ballo, del Rock&Roll, dei Juke Box e dei 45 giri, l’ascolto si fece più attento, i brani si allungarono tanto da decretare la fortuna del 33 giri come supporto principale e i testi si arricchirono di riferimenti colti e letterari. In una parola il prog pretendeva attenzione da parte di un pubblico che ascoltava in silenzio le esecuzioni che diventavano propedeutiche ai concerti. Ma questo genere si avvalse anche delle nuove tecniche di registrazione e decretò la fortuna di nuovi strumenti musicali primi fra tutti i sintetizzatori.
Dainese, prima di addentrarsi nell’analisi di ciascun aspetto di Dark Side of the Moon, dalla genesi alla struttura, dalla copertina ai testi, fino all’attento excursus sui diversi concerti nel corso dei quali i brani furono eseguiti prima di essere incisi, fa una storia di quegli anni dal punto di vista del genere musicale. Magari per farci notare come il disco di Roger Waters, Nick Mason, David Gilmour e Richard Wright si discosti dai prodotti analoghi di quell’epoca tanto da decretarne la longevità che non è toccata alle opere degli altri gruppi che rientrano nello stesso genere musicale.
Il libro di Dainese rappresenta pertanto l’occasione, al netto degli aspetti più tecnici destinati a musicisti e addetti ai lavori, per approfondire non solo un disco, non solo un gruppo che ha fatto epoca, ma anche per stuzzicare la nostalgia di coloro che cinquant’anni fa erano ragazzi, nonché per raccontare ai loro figli e nipoti qualcosa di un periodo in cui la musica era parte delle esperienze quotidiane.